“Deficit dell’Attenzione e Iperattività”: cosa c’è oltre l’approccio clinico?

 

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La riflessione pedagogica che considera il soggetto come un essere in divenire nella sua dimensione biologica, cognitiva, sociale ed emotiva si realizza pienamente nell’educabilità del bambino iperattivo. Proprio la complessità delle problematiche che caratterizzano il cosiddetto “Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività” permettono di attuare un intervento educativo globale che si struttura su molteplici livelli. Si fa riferimento infatti, ad un disturbo neurobiologico che si manifesta durante l’età evolutiva dai 7-12 anni, caratterizzato da iperattività, impulsività e disattenzione che determina difficoltà nell’acquisizione di competenze scolastiche e compromette soprattutto la sfera emotiva poiché può determinare la comparsa di importanti problematiche comportamentali.

L’inserimento del “Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività” nell’area dei Bisogni Educativi Speciali, così come previsto dalla direttiva Miur del 27 dicembre 2012, impone la necessità di adottare una prospettiva pedagogica che permetta di superare l’approccio clinico-terapeutico che attualmente ha totalizzato la maggior parte degli interventi sia nei contesti formali che informali dell’educazione. Nella scuola, ad esempio, è molto frequente la segnalazione di casi di Disturbo dell’Apprendimento in cui si ritiene necessario l’intervento di sostegno didattico con la presenza della figura dello psicologo anche dove sarebbe sufficiente un intervento di tipo pedagogico. Si potrebbe progettare un’azione pedagogica “scientificamente fondata” poiché la relazione interpersonale che si instaura con l’educatore è finalizzata a sviluppare una consapevolezza da parte del bambino del proprio modo di apprendere e di comportarsi.

La conoscenza del bambino che si realizza nel contatto quotidiano, nello scorrere delle ore di lezione, permette di osservare direttamente il suo modo di apprendere e di comportarsi. In questo modo si possono definire metodi pratici che vanno, a seconda dei casi, a rafforzare le capacità di lettura, di scrittura o di calcolo al fine di facilitare la fase di selezione delle informazioni, della memorizzazione e della risoluzione di problemi. L’osservazione diretta nello spazio della classe permette di applicare la formula pedagogica “imparare ad imparare”, finalizzata a sviluppare un atteggiamento metacognitivo, una consapevolezza da parte del bambino del proprio modo di apprendere e di comportarsi. Attraverso un lavoro costante fatto di spiegazioni continue, di ripetizioni di comportamenti corretti e di controllo degli errori, può interiorizzare modelli di comportamento da applicare autonomamente sia nello svolgimento delle attività didattiche sia nella pianificazione dei tempi di attenzione e dei continui movimenti motori. In questa lunga scalata verso l’apprendimento, il bambino iperattivo si trova ad affrontare però soprattutto difficoltà legate alla sfera emotiva. Molto spesso non riesce a comprendere il motivo per cui deve svolgere un carico di lavoro “semplificato”, oppure le ragioni che lo portano ad essere escluso da determinate attività didattiche e, spesse volte, ad essere emarginato dagli stessi compagni di classe. Per questo motivo è necessario inquadrare l’intervento educativo soprattutto sulla dimensione emotiva e affettiva per evitare la comparsa di problematiche comportamentali correlate all’emergere di emozioni negative e al mancato sviluppo di competenze sociali e relazionali.

In questo contesto, la tecnica pedagogica che viene applicata è quella dell’entropatia. Introdotta dal filosofo tedesco Edmund Husserl, si tratta di un atteggiamento empatico che essenzialmente consiste nella capacità di percepire dentro di noi i sentimenti dell’altro e che, di conseguenza, interpreta le esperienze e i vissuti emotivi del bambino permettendo di comprendere le emozioni, valutandone la storia passata e presente. All’interno di questo spazio è compito del pedagogista ridefinire i termini della relazione educativa e il confronto con la famiglia; proprio perché l’’irrompere delle emozioni che si generano in questi casi deve essere mediato e trasdotto nella capacità di gestire meglio lo stress, le frustrazioni e l’ansia. Le emozioni negative, che derivano essenzialmente dallo scarso rendimento scolastico, innescano una reazione a catena che demotiva completamente il bambino determinando una bassa stima di sé. L’educazione emotiva deve avvenire attraverso la verbalizzazione delle emozioni e la valutazione delle reazioni in un continuo interscambio comunicativo tra il bambino e l’educatore. Quest’ultimo deve realizzare una sorta di “permeabilità” del pensiero del bambino. Non bisogna mirare ad un cambiamento strutturale del modo di pensare, ma fornire un diverso modello di interpretazione che permetta un cambiamento nel momento in cui vengono riconosciuti i propri comportamenti negativi. L’incoraggiamento e la presenza costante aiutano il bambino iperattivo a riconoscere le emozioni, a razionalizzarle, al fine di definire un modo costruttivo attraverso il quale è possibile “imparare ad essere” e sviluppare attitudini che gli permettano di gestire e controllare emozioni e comportamenti sociali.

Concludendo questa visione pedagogica sull’educabilità del bambino iperattivo, possiamo sottolineare due punti fondamentali: in primo luogo l’aspetto dinamico dell’intervento educativo che non è mai definito una volta per tutte, in quanto si deve adattare continuamente ai continui cambiamenti del bambino, pone la necessità di rinunciare a modelli “curativi” standardizzati e definiti in linea generale, riportando lo sguardo su uno dei principi fondamentali della Pedagogia. Nel processo di crescita infatti, inteso come costruzione di significati nel continuo confronto con l’altro, si realizza un apprendimento costante, mediato dalla professionalità del pedagogista il quale, ben lungi dall’adottare un “sapere” dato e precostituito, lo definisce attraverso l’ascolto e l’osservazione continua. In secondo luogo l’attenzione posta sulla dimensione emotiva, fondamentale per riportare al centro la globalità del soggetto, rende necessario un intervento realizzato sul bambino, sulla sua storia personale, sottolineando uno dei concetti fondamentali del sapere pedagogico secondo il quale, ogni bambino, è unico e possiede specifiche caratteristiche biologiche, cognitive, sociali ed emotive.

Angela Pellino 12443087_10207538768925181_2125404970_n

Info

Bibliografia

Bertolini P., L’esistere pedagogico, Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, La Nuova Italia, Firenze, 1976

Canevaro A., Balzaretti C., Rigon G., Pedagogia Speciale dell’integrazione, Handicap: conoscere e accompagnare, la Nuova Italia, Firenze, 1996.

Canevaro A., Goussot A., (a cura di), La difficile storia degli handiccapati, Carrocci editore, Roma, 2000.

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