Identità ri-velate: dalla spontaneità infantile al mascheramento sociale

 

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Ogniuno di noi in base alla situazione in cui si trova o alle persone con cui entra in contatto, è indotto per natura ad indossare una “maschera”. Le ragioni sociali o personali infatti, spesso spingono l’individuo a celare le proprie emozioni e i propri vissuti interiori. Non a caso il termine “maschera” è da associare all’uomo, poiché la vera identità di ciascun singolo si trova generalmente nascosta: infatti il sostantivo italiano “persona” deriva dal latino “persōna”, voce di origine probabilmente etrusca, che significa appunto “maschera teatrale”. (L. Romani). Ecco il motivo per cui molti individui tendono a chiudersi in sé stessi, a volte anche assumendo espressioni non congruenti al proprio stato interiore. Ma quale può essere la ragione che spinge l’uomo a “nascondersi”? Forse è il mondo circostante che influisce sul nostro comportamento? A tale proposito è fondamentale comprendere come ancora oggi, esiste un vero e proprio divario tra gli studiosi sull’origine delle emozioni: alcuni ritengono che si nasca con una base biologica innata, che mostra come gli stati emotivi primari siano presenti già a poche ore dalla nascita. (cfr. Bridges, 1932; Lewis e Brooks-Gunn, 1979; Lewis e Michalson, 1983). Altri al contrario, affermano che questi ultimi appaiono con la crescita, attraverso lo sviluppo, l’interazione sociale e gli stimoli derivanti dal mondo esterno (cfr. Izard, 1971, 1978; Izard e Buecher, 1980).

Ci si può domandare, come già accennato, se l’ambiente “plasma” le nostre sensazioni e i nostri comportamenti sin dalle prime ore di vita; grazie a numerose osservazioni si è notato come subito dopo la nascita alcune emozioni primarie (rabbia, gioia, tristezza) siano riscontrabili nei bambini, nonostante essi non ne abbiano la consapevolezza. Questo lo dimostra il fatto che tutto ciò è ben evidente anche in soggetti che nascono senza capacità visive. Successivamente, verso il secondo anno di età, i bambini sono in grado di collegare alcune emozioni a situazioni quotidiane: ad esempio, la rabbia la possono rimandare ai dispetti che vengono fatti dai fratelli, la gioia alle coccole dei genitori e la paura al buio o al rumore dei lampi durante un temporale.

Col passare del tempo, indicativamente fino ai sei anni di età, si ritiene che i bambini siano “sinceri emotivamente”, poiché sono capaci di sperimentare i propri sentimenti e i propri stati d’animo e quelli altrui. Dopo di che, si pensa che essi siano in grado di mascherare ciò che provano. Questo può capitare se per esempio, all’interno della famiglia, non si ha la possibilità di esprimere a pieno ciò che si prova, probabilmente perché non ci si sente compresi. In genere, in età pre-scolare i bambini nascondono le loro emozioni in determinate occasioni, oppure tendono a emulare certe espressioni: infatti, vedendo ad esempio un loro coetaneo piangere, spesso sono spinti a fare la stesso e a compiere i medesimi gesti. Questo particolare comportamento, tipico dell’uomo, può essere ricollegato al concetto di “empatia”, che viene definita come quella capacità di comprendere le emozioni altrui e in un certo senso, di condividerle. Gli studi sugli stadi iniziali di quest’ultima (cfr. Strayer, Eisenberg,1987), indicano che il bambino mostra forme di adesione indifferenziata alle emozioni del gruppo dei pari, così come a quelle degli adulti di riferimento. E’ tra i sette e i dodici anni che si acquisisce a pieno la cosiddetta “condivisione delle emozioni”: il bambino sarà in grado di immedesimarsi nell’altro, prestando attenzione al suo vissuto interiore e comprendendo che ognuno ha una propria identità e che quindi può provare emozioni diverse nella stessa circostanza.

Durante questa fascia d’età quindi, comincia a manifestarsi il “role taking”, vale a dire “il mettersi nei panni dell’altro” (cfr. Strayer, 1989; 1993). Nel periodo scolare inoltre, i bambini iniziano già a celare quello che sentono, soprattutto se si tratta di emozioni negative; questo significa che sono coscienti della propria identità e cominciano ad essere consapevoli di quando e dove possono manifestare certe emozioni. Tali atteggiamenti si modificano nel tempo e si mostrano anche in età adulta: le espressioni facciali vengono spesso mascherate perché si è soggetti a norme, culturalmente e istituzionalmente determinate, che ne condizionano l’esibizione sociale.

Ma come si potrebbe agire per rendere i soggetti più liberi di esprimere le loro sensazioni? Innanzitutto è importante partire dall’infanzia, poiché sia la famiglia, sia gli educatori, sia gli insegnanti possono rappresentare un ruolo fondamentale nei primi anni di vita. L’adulto infatti, deve saper indirizzare al meglio il bambino, per fargli raggiungere la consapevolezza della propria individualità e delle proprie espressioni emotive, rispettando la sua propria natura. Ed è soprattutto durante la fase adolescenziale, dove l’identità si sviluppa e consolida, che le reazioni appaiono inadeguate dal punto di vista dell’intensità e del significato attribuito all’evento emotivo. Occorre quindi trovare un equilibrio tra sé stessi e il mondo, coltivando una propria “intelligenza emotiva”, vale a dire quell’ aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di provare delle emozioni, per saperle riconoscere e soprattutto gestirle: è infatti questa la chiave per autostima, autodeterminazione, benessere, abilità relazionali funzionali e dunque adattabilità all’ambiente sociale.

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Bibliografia 

Bridges K.M.B. (1932), “Emotional development in early infancy”. In Child Development, 3,

Eisenberg N. e Strayer J. (1987), Empathy and its development, Cambridge University Press, New York

Ekman P. (1973). “Darwin and cross cultural studies on facial expression”. In Darwin and facial expression: a century of research in review, Ed. Ekman P., Academic Press, New York

Izard C.E., Buechler S. (1980, “Aspect of consciousness and personality in terms of differential emotions theory”, in Plutchik E., Kellerman H., (Eds.), Emotion: Theory, research, and experience, Plenum Press, New York

Lewis M., Brooks-Gunn J. (1979), Social cognition and acquisition of self, Plenum Press, New York

Strayer J., Roberts W. (1989). “Children’s Empathy and role taking: Child and Parental factors and relations to prosocial behaviour”. In Journal of Applied Development Psychology, 10

Sitografia

http://www.treccani.it/lingua_italiana/articoli/parole/maschera.html

http://www.memorizzare.eu/index.php/2013/05/12/quando-unespressione-e-vera.html

http://www.microespressioni-facciali.it/microespressioni

http://compu.unime.it/sup3/Quattropani_Vero%20o%20falso%20Psicofisiologia%20di%20un’emozione.pdf

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