Creative Commons: arte gratuita con un click?

 

Immagine realizzata da Alex Grichenko, disponibile su www.publicdomainpictures.net

Erano duecento anni che pubblicare non era così facile. Kevin MacLeod compone musica usata per migliaia di video condivisi in rete, e il regista Tom Six adopera filmati di microstock a costo contenuto nel suo The Human Centipede 3 – Final Sequence. Dove nasce questo sistema? E quali strumenti ha l’autore per acquistare visibilità e (magari) qualche generosa donazione?

La normativa sul diritto d’autore nasce in un passato piuttosto recente. Questo inizia infatti ad essere protetto solo alla metà dell’Ottocento, sulla scia della protezione dei brevetti industriali.

Queste embrionali forme di tutela erano già abbastanza efficaci. Si può ricordare il caso Manzoni c. Le Monnier, riguardante la titolarità dei diritti sull’edizione francese de I promessi sposi; o, agli albori del Novecento, il caso D’Annunzio c. Scarpetta, per l’uso de La figlia di Iorio come base per la parodia Il figlio di Iorio; o le vicende di Nosferatu, film del 1922 le cui pellicole furono ritirate e distrutte (non tutte, fortunatamente) a seguito di una controversia con la vedova Stoker, detentrice dei diritti sul romanzo Dracula.

In Italia, una normativa organica del diritto d’autore è data dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, cui si è affiancato il Codice civile, artt. 2575-2583. Sull’argomento, utile è anche il D.Lgs. n. 70 del 2003 sul commercio elettronico.

Ma queste norme, ispirate dalla tutela del brevetto industriale nell’Ottocento borghese, hanno una caratteristica fondamentale: tutelano l’opera e l’autore da un punto di vista eminentemente patrimoniale. Tutelano cioè opere registrate dall’autore presso un intermediario dietro pagamento, e per la cui utilizzazione da parte dei terzi occorre un corrispettivo in denaro. Per un esempio, prendiamo il contratto di edizione (art. 119, L. n. 633 del 1941): l’autore ha appena concluso la sua opera; per proteggerla, la registra presso l’intermediario; per distribuirla e trarne guadagno, si accorda con l’editore, cui può concedere i diritti in tutto o in parte. In tal caso, i ricavi andrebbero ad autore (o eventuali eredi), editore e intermediario, in proporzione a quanto stipulato nel contratto. Date queste basi, l’opera non può che essere prodotta e fruita a titolo oneroso.

Il sistema appena accennato ha finito per manifestare forti limiti al momento dello scontro, da una parte, con la fruizione su vasta scala della rete e la conseguente diffusione dei contenuti e, dall’altra, con gli scossoni provenienti da altri fenomeni, principalmente dovuti all’aumento dei costi di produzione e fruizione delle opere.

Al secondo tipo appartiene ad esempio la cd. exploitation cinematografica, nata dall’esigenza di filmare scene costose senza disporre dei mezzi sufficienti, sfruttando filmati di repertorio. Tuttavia, anche questi primi (e a ben vedere risalenti) fenomeni erano e sono soggetti ad onerosità.

Fino a pochi anni fa, l’unica vera eccezione all’onerosità era l’emissione o il sopravvenuto ingresso dell’opera nel regime di pubblico dominio. Se un’opera è rilasciata senza alcun marchio o vincolo di licenza, infatti, può essere utilizzata liberamente dai terzi. Col rischio però di creare confusione nell’utente e di generare controversie sulla titolarità dei diritti.

L’ipotesi di pubblico dominio sopravvenuto è di regola dovuta al decorso del tempo successivo alla morte dell’autore. Per l’ordinamento italiano, la L. n. 52 del 1996 dispone all’art. 17, comma primo, che: I termini di durata di protezione dei diritti di utilizzazione economica delle opere dell’ingegno (…) sono elevati a 70 anni [precedentemente 50, n.d.A.]”. La tutela dell’erede cede a quella della collettività, messa così in condizione di godere di opere ormai (questa sommariamente la ratio) divenute di valore storico o comunque parte di uno spirito condiviso e diffuso.

Il passaggio per via giudiziale può destare scalpore. Negli Stati Uniti, è famoso il caso della canzone Happy birthday, per oltre 60 anni ritenuta di proprietà della Warner Bros. e riconosciuta di pubblico dominio con sentenza del 2015 (qui, rilevata l’inesistenza del titolo ab origine, il regime di pubblico dominio è stato fatto valere retroattivamente).

Il fenomeno più interessante è però quello della rete. A seguito del suo uso su larga scala, ed ancor più in quella fase che va dal crollo dei titoli elettronici (e di Napster) del 2001 all’alba del cd. Web 2.0, con un passaggio fondamentale nella crisi economica del 2007-2008, si è sviluppato il fenomeno cui si deve la diffusione delle cd. nuove licenze. Il fenomeno è lo sharing, la condivisione a titolo gratuito di opere create con l’ausilio di software e hardware amatoriali ma simili, nelle loro capacità potenziali, a quelli professionali: come le cineprese a 16mm hanno dato vita a film poco più che amatoriali, ma tali da essere oggi considerati Cinema a tutti gli effetti, così è ormai possibile realizzare foto o filmati con costi irrisori rispetto a quelli precedenti la “rivoluzione digitale”.

A questa capacità puramente di fatto è seguita un’immissione in rete ormai inflazionistica di contenuti, sempre de facto. E qui si innestano, per regolare questi fatti in diritto, le nuove licenze.

Per l’editoria, la musica e il cinema, queste sono sintetizzabili nelle sei licenze Creative Commons (CC) e nella licenza Public Domain (PD), nate da un’organizzazione non profit, la Creative Commons appunto, fondata nel 2001 e il cui sito ufficiale, creativecommons.org, è registrato proprio sotto licenza CC.

Della PD, in realtà, già abbiamo detto parlando del regime di pubblico dominio, ma questa licenza, a differenza del regime tradizionale, offre un marchio che ne attesta il regime di disponibilità gratuita, evitando confusione e controversie (salvi vizi originari).

Le CC sono oggi aggiornate ad una versione 4.0, precedute da una sintesi “in lingua umana” (come i redattori tengono a precisare), e distinte in base alla possibilità di modifica o di sfruttamento commerciale dell’opera da parte dei terzi. Ad accomunarle è l’obbligo da parte del terzo diffusore dell’opera di citare con apposita formula l’autore, a prescindere da eventuali modifiche apportate. Ad esempio, se l’opera è registrata sotto licenza CC BY 4.0 (quella che permette il massimo sfruttamento, anche commerciale e con modifiche dell’opera), la dicitura dovrà consistere in una formula che citi: la titolarità dell’autore; il tipo di licenza; l’URL della pagina web su cui l’opera è pubblicata; l’URL della pagina del sito ufficiale su cui può leggersi la licenza; l’indicazione dell’eventuale modifica apportata dal diffusore.

Diversi siti-libreria predispongono moduli contenenti le informazioni necessarie all’interno della pagina che ospita l’opera o attraverso una sezione dedicata.

La vera particolarità delle licenze CC sta nella fruizione gratuita, e i vantaggi per il terzo sono evidenti. Esempio: una produzione cinematografica ha bisogno di un’inquadratura della città di Roma. Prima avrebbe avuto bisogno di un archivio proprio, o di acquistare le immagini mancanti, o di girarle a proprie spese; oggi, attraverso la rete e il sistema CC può ottenere le immagini che servono gratuitamente o, in altri casi, attraverso un corrispettivo quasi simbolico sotto forma di pagamento per acquisto o di abbonamento al sito-libreria. Ad esempio, potrebbe acquistare una fotografia ad altissima risoluzione o un breve filmato e citarne l’autore e/o il sito-libreria nei titoli di coda del film.

Anche per l’autore la situazione presenta vantaggi importanti. Anzitutto, il sistema gestito in rete gli consente di pubblicare l’opera più velocemente e con meno filtri rispetto a quanto gli prospetterebbe il sistema tradizionale: salvi contenuti vietati, l’autore può pubblicare praticamente ogni opera che rispetti gli standard di qualità del sito. Altro vantaggio sono i costi di pubblicazione ridotti. Con la pubblicazione in rete l’autore ottiene da subito la pubblicazione dell’opera a titolo gratuito o con costi di iscrizione al servizio di archiviazione normalmente simbolici. Il terzo vantaggio è quello di più immediato rilievo, e cioè la visibilità: l’opera pubblicata rimane all’interno della libreria e, se indicizzata con parole chiave, e stante comunque un certo lavoro di pubblicità da parte dell’autore, può essere vista e utilizzata dall’utente terzo anche solo casualmente.

Non mancano gli inconvenienti, e il più importante è sul fronte economico. Oltre l’introito derivante da eventuali donazioni, l’autore non ha margini di guadagno sull’opera nel breve termine. Il problema sorge soprattutto perché l’opera può ben essere fonte di guadagno altrui, previa attribuzione nei modi già visti. Di conseguenza, nel condividere l’opera sotto licenza CC, l’autore deve essere conscio del fatto che non può vantare diritti sulla stessa oltre quelli morali, consistenti in pratica nel diritto di attribuzione.

Quest’ultima questione si intreccia fortemente con altre due, molto più spinose e complesse. Quella della concentrazione in capo ai siti-libreria e ai terzi dei diritti o dei guadagni derivanti dalle opere. E quella concernente la libertà di espressione in relazione al diritto d’autore e alla tutela dei beni culturali e del paesaggio.

Questioni che, per la loro complessità, meritano una trattazione separata.

michelangeloscaliMichelangelo Scali

Info

 

 

 

Bibliografia

Arduino, Giovanni – Lipperini, Loredana (2013). Morti di fama – Iperconnessi e sradicati tra le maglie del web. Corbaccio Editore, Garzanti Libri S.r.l. Milano

Barni, Edoardo (2015). Nota a sentenza Cassazione Civile, Sez. I, 19 febbraio 2015, n. 3340 – Una sentenza storica: i principi relativi all’aspetto semantico della poesia possono escludere il plagio. In Il diritto d’autore – Rivista trimestrale della Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), anno 2015, n. 2.

Blandini, Gaetano (2013). Intervento al workshop “Il diritto d’autore on line: modelli a confronto”. In Il diritto d’autore – Rivista trimestrale della Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), anno 2014, n. 1.

Cecchini, Ivan (2015). I contratti dell’editore. Guerini e Associati editore, Milano.

Dragoni, Gian Pietro (Anno Accademico 2011-2012). Il copyleft – Il nuovo modello di gestione dei diritti d’autore. Università degli Studi di Udine. Visibile su www.academia.edu

Sitografia

Sito ufficiale della licenza Creative Commons: creativecommons.org

12 Replies to “Creative Commons: arte gratuita con un click?”

  1. Come al solito centri in maniera esaustiva gli obiettivi e rendi la lettura e la sua comprensione fluida.

  2. Argomento interessantissimo e contemporaneo, il testo è fluido e di facile comprensione. Complimenti bell’articolo!

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