“E’ difficile dirti ciò che provo”: alessitimia, l’analfabetismo emozionale fra normalità e patologia

 

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“Date parole al dolore: il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi” – Shakespeare (Machbeth, atto IV, scena III)

“E’ difficile dirti ciò che provo” : quante volte, parlando con un amico o con il proprio ragazzo/a, abbiamo pronunciato questa frase e soprattutto, abbiamo avuto difficoltà a dire alle persone care quello che proviamo per loro. Dare un nome alle emozioni, esprimere il proprio stato d’animo, sembra un processo così naturale e spontaneo che è faticoso credere che per alcuni sia complicato metterlo in atto. Eppure a volte, risulta faticoso esprimere a parole quello che si prova. Quest’incapacità può essere associata alla paura o alla mancanza di coraggio, altre volte può rappresentare una manifestazione di un fenomeno originato dalla personalità che impedisce l’uomo di verbalizzare il proprio vissuto emotivo. In questo caso, stiamo parlando di persone che soffrono di alessitimia.

Alcune persone sono incapaci di riconoscere le emozioni, infatti il termine Alessitimia (dal greco a: mancanza; lèxis: parola; thimos: emozione) significa “mancanza di parole per le emozioni”, una sorta di “analfabetismo emozionale, una difficoltà non solo nel riconoscere le emozioni, ma anche quella di esplorare e di esprimerle. Il costrutto dell’alessitimia si basa su osservazioni cliniche condotte all’inizio su pazienti che soffrivano di disturbi classificati come psicosomatici. Nelle malattie psicosomatiche, l’ansia, la sofferenza, le emozioni troppo dolorose per poter essere vissute e sentite, trovano una via di uscita attraverso il corpo.

Il concetto di alessitimia fu però coniato da Sifneos per indicare un disturbo specifico nelle funzioni affettive e simboliche che spesso rende sterile e incolore lo stile comunicativo dei pazienti psicosomatici, confermando la difficoltà di quest’ultimi di esprimere i propri sentimenti soggettivi e aventi uno stile comunicativo caratterizzato da un’attenta attenzione per gli eventi esterni e da un’assenza o forte riduzione di fantasie legate alle pulsioni.

Ci sono alcune caratteristiche considerate peculiari per l’alessitimia:

  • Difficoltà di identificare i sentimenti e distinguerli dalle sensazioni somatiche;
  • Difficoltà nel descrivere e comunicare emozioni e sentimenti alle altre persone;
  • Processi immaginativi limitati;
  • Stile cognitivo orientato esternamente.

I soggetti alessitimici mostrano una marcata difficoltà a verbalizzare i propri stati emotivi, ma nella maggior parte dei casi non ne hanno consapevolezza. Possono mostrare uno scoppio improvviso di emozioni intense come ad esempio la rabbia, ma non collegano questa emozione ad un episodio specifico o ricordo.

Il soggetto è confuso riguardo le proprie emozioni, specialmente quelle riconosciute come ansia, tristezza e rabbia. A questo si associa la tendenza a manifestare somaticamente emozioni e a minimizzarne le componenti affettive. Il soggetto con alessitimia esprime quindi le proprie emozioni attraverso la componente fisiologica poiché incapace di elaborarne l’aspetto soggettivo vissuto. In un colloquio con un soggetto alessitimico può accadere che questi racconti in maniera estremamente dettagliata un evento e le circostanze connesse, ad esempio la lite con la propria partner e rimanere meravigliato se qualcuno gli fa notare che probabilmente ciò che ha provato in quella specifica situazione è rabbia. Questo sempre perché l’alessitimico ha la tendenza a riferire modificazioni somatiche senza comprendere che l’esperienza della rabbia comprende in sé tutte le sensazioni provate quali tremori o tensione muscolare.

La povertà di immaginazione e delle funzioni ad essa connesse è osservabile nell’attività onirica. Noi tutti siamo abituati a sognare e siamo consapevoli del carico emotivo che i sogni possono avere. I soggetti alessitimici invece, anche in queste situazioni sembrano incapaci di ricordare i sogni o la vita onirica banale. L’attività onirica, laddove presente, ha contenuti mentali fortemente arcaici (come ad esempio scene di violenza o perversioni sessuali) oppure è caratterizzata dalla ripetizione piuttosto stereotipata di avvenimenti diurni ed eventi della vita lavorativa. Stessa cosa per i sogni ad occhi aperti, che sono poveri sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo ed incentrati sulle stesse tematiche.

Gli alessitimici, inoltre, sono maggiormente concentrati su ciò che accade all’esterno. Essi descrivono le proprie esperienze o i vissuti emozionali senza alcun investimento affettivo, come se fossero spettatori più che attori della propria vita. Si focalizzano sugli dettagli, ma senza dare la sensazione a chi li osserva, di parteciparvi emotivamente. Inoltre, essi mostrano una scarsa capacità di sintonizzarsi con le emozioni altrui, mostrando difficoltà a formare e conservare nel tempo relazioni interpersonali intime (cfr. Krystal, 1979).

Tra le possibili ipotesi correlate con lo sviluppo della patologia riveste un ruolo centrale lo stile di attaccamento, in particolare quello insicuro- evitante elaborato da Bowlby. Nel racconto delle storie affettive di persone alessitimiche emerge una ridotta disponibilità affettiva da parte delle figure di accudimento, molto spesso con la presenza di madri depresse o con disturbi di personalità. L’ Alessitimia potrebbe considerarsi come una difesa contro un dolore psichico o un blocco della sfera affettiva causata da un trauma infantile. Diversi studi hanno dimostrato che i bambini separati dai genitori, anche per brevi periodi, tendono ad ammalarsi più facilmente e presentano difficoltà a regolare le proprie emozioni.

Questo disturbo può inoltre, svilupparsi in seguito a un grave trauma – tratti alessitimici sono stati descritti nei veterani di guerra o in soggetti che hanno subito maltrattamenti o abusi di natura sessuale – o a malattie che portano ad uno stato di pericolo di vita come cancro o trapianto.

In soggetti con condotte dipendenti, come i bevitori abituali o chi abusa si sostanze stupefacenti, si possono riscontrare alcune caratteristiche correlate con l’alessitimia. Sorge spontaneo chiedersi perché questo avviene. La motivazione può essere ritrovata nel fatto che il soggetto alessitimico, cerca di compensare la scarsa quantità e qualità delle emozioni attraverso esperienze che possono alterare lo stato di coscienza, utilizzate come una sorta di condotte compensatorie, la cui assenza porta alla formazione di somatizzazioni in alcuni casi anche gravi. Ciò viene espresso anche nella teoria sulla genesi dell’alessitimia elaborata da Grotstein (1997) il quale afferma : “ di fronte al pericolo di essere sommerso da una valanga di affettività incontrollata il soggetto organizzerebbe delle difese molto generali e massicce nei confronti dell’affettività’ “

Quali sono le conseguenze, nella vita quotidiana, dell’alessitimia?

Le persone che fanno parte della vita di chi soffre di alessitimia e con la quale hanno una relazione affettiva rivestono un ruolo importante nella vita del soggetto. Su queste ricadono le maggiori conseguenze del disturbo. Gli alessitimici tendono a non riconoscere i sentimenti degli altri, nonostante affermino il contrario. Questo può causare non solo sofferenza ma anche continui inseguimenti sentimentali da parte delle persone che li circondano. All’inizio di una relazione chi soffre di questo disturbo, è capace di dare attenzioni amorevoli, ma allo stesso tempo improvvise e immotivate sparizioni.

Una comunicazione poco efficace è uno degli aspetti più significativo del disturbo ed è quella che crea più conflitti all’interno della famiglia. Se pensiamo ad esempio ad una relazione di coppia, l’assenza di uno scambio emotivo e la mancanza di condivisione può trasformarsi in un problema deleterio per la coppia. L’alessitimico tenderà a farsi carico di tutti i problemi esterni alla coppia e non riuscirà a percepire i conflitti interni, né a cogliere il peso dei segnali emotivi. Di conseguenza il partner, percepisce questo comportamento con un mancato interesse attribuendo stati d’animo spesso lontani dalla realtà.

I rapporti relazionali con i soggetti con questo tipo di disturbo sono generalmente scarsi ed oscillano tra una forte dipendenza verso qualcuno a cui si rivolge e si fa affidamento, ad una forma di isolamento ricercato e voluto con cui la persona decide deliberatamente di evitare qualsiasi contatto e condivisione con il prossimo, preferendo l’isolamento emotivo.

In conclusione, va specificato un punto importante del costrutto dell’alessitimia. Le persone con questo disturbo provano le nostre stesse emozioni, ma non sono coscienti di questa emotività. L’alessitimico vive l’emozione solo per via somatica, percependo quindi solo gli effetti fisici come ad esempio il batticuore o il nodo alla gola, senza però sapere come individuarne il significato. Come afferma LeDoux (1996), «Sono gli stati del cervello e le risposte del corpo i fatti fondamentali di un’emozione. I sentimenti coscienti sono solo decorazioni, la ciliegina sulla torta emotiva». La persona non inibisce o nega le emozioni, bensì non ha parole; in altri termini: non riesce ad esprimere.

Quindi non possiamo parlare di persone “senza cuore” o “fredde”, e quindi meno emotive, ma semplicemente di persone “non consapevoli”.

Paola Auricchio

Bibliografia

Campione, G., Nettuno, A. (a cura di) (2007) Il gruppo nelle dipendenze patologiche. Franco Angeli

AA. VV., (2011) Le parole senza voce. Il costrutto alessitimico tra disturbi del comportamento alimentare e dipendenze: Il costrutto alessitimico tra disturbi del comportamento alimentare e dipendenze. FrancoAngeli.

Phoebe E. B., Julie D. H. (2007) Alexithymia, somatization and negative affect in a community sample.

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