La testimonianza oculare: il connubio tra memoria e crimine


Oggigiorno, la cronaca nera occupa una cospicua fetta dell’informazione quotidiana: radio, giornali, telegiornali lasciano grande spazio al racconto di questi avvenimenti, mettendo in luce anche tutto l’iter investigativo. In molti crimini, talvolta anche particolarmente violenti, l’unica prova è costituita dalla testimonianza oculare. I salotti televisivi, in cui molto si discute di questi eventi, permettono di vedere e ascoltare direttamente testimoni che raccontano vicende importanti nella risoluzione di misfatti e alle quali hanno assistito in prima persona. Molto spesso, tuttavia, si assiste a fenomeni che lasciano perplessi, facendo anche, a volte, indignare: le testimonianze vengono ritenute dagli inquirenti come inattendibili e, altre volte, i testimoni stessi modificano la propria versione dei fatti, se non addirittura cambiandola completamente.

Ora, questi fenomeni sono dovuti all’esplicita volontà del testimone o a normali distorsioni della memoria?

In uno studio del 1975 sui processi investigativi, la Rand Corporation mise in evidenza che i report dei testimoni oculari si presentano come incompleti, inaffidabili, malleabili e parzialmente costruiti durante gli interrogatori [Geiselman, Fisher, MacKinnon & Holland, 1985]. Questa inattendibilità è data da diverse fonti di distorsione che si collocano prima o dopo il crimine o dovuti alle modalità attraverso cui viene condotto l’interrogatorio [cfr Eysenck, 2006].

Infatti, Loftus nel 1991 ha sottolineato un fenomeno chiamato accettazione della disinformazione, secondo cui i testimoni oculari sono spesso disposti ad accettare informazioni erronee successive all’evento, considerandole come facenti parte del ricordo dell’incidente. Questo fenomeno aumenta con l’aumentare del tempo trascorso dall’incidente. [Eysenck, 2006] Bisogna, però, sottolineare un elemento importante: le informazioni ingannevoli post-evento hanno minori effetti sul ricordo delle informazioni cruciali (per esempio, sull’arma usata) che su quello dei dettagli meno importanti [Eysenck, 2006]. Da questo punto di vista, è importante citare gli innumerevoli studi che sono stati condotti sulla relazione tra memoria ed emozioni, i quali evidenziano come la memoria per i dettagli centrali di un evento intensamente connotato emotivamente, come un crimine violento, sia più vivida ed attendibile rispetto ai dettagli più marginali [Lanciano & Curci, 2011]

Un fattore importante che incide sulla coerenza tra ricordo ed evento è la violenza.

Loftus e Burns (1982) hanno utilizzato due versioni videoregistrate di un crimine, in una delle quali ad un ragazzo veniva sparato in faccia. I partecipanti che hanno visto questa versione violenta ricordavano meno le informazioni presentate durante i due minuti precedenti rispetto a coloro che avevano visto la versione non violenta.

Come già accennato, fonti di distorsione della memoria sono anche le modalità in cui vengono condotte le interviste e gli interrogatori, i quali rischiano di modificare i ricordi malleabili dell’evento. Interrompere il racconto, porre domande specifiche che contengono informazioni e risposte, la velocità del botta e risposta, la pressione esercitata sul testimone, sono tutti fattori che portano diverse distorsioni [cfr Eysenck, 2006].

Per ovviare a queste ed altre fonti di distorsione, sono stati utilizzati diversi metodi per rendere il ricordo e il racconto del testimone quanto più possibile coerenti con la realtà, tra cui l’ipnosi. Però, vi è un metodo che risulta essere particolarmente efficace, meno invasivo e più economico e pratico rispetto all’ipnosi, ovvero l’intervista cognitiva, la quale ha avuto molte validazioni dal punto di vista scientifico[1].

L’intervista cognitiva è un metodo di rievocazione dei ricordi guidato, basato sugli studi più recenti in materia di memoria, e si fonda su due assunti principali:

  1. le tracce mnestiche, ovvero i ricordi, sono composte da un certo numero di pezzi diversi di informazioni tra loro collegati e, quindi, diversi segnali di recupero ci possono  consentire l’accesso a qualunque ricordo; 
  2. un segnale di recupero diventa efficace solo quando l’informazione in esso contenuta si sovrappone all’informazione contenuta nel ricordo, ovvero quanto più le due informazioni sono simili. [cfr Eysenck, 2006; Geiselman, Fisher, MacKinnon & Holland, 1985].

Da questi assunti, derivano le caratteristiche dell’intervista cognitiva di base:

  • ricostruzione da parte del testimone oculare del contesto interno ed esterno presente al momento dell’evento in questione, rivisitando possibilmente il luogo del misfatto;
  • gli eventi e i dettagli del crimine/incidente vengono riportati da prospettive diverse, per rendere possibile l’utilizzo di diversi segnali di recupero;
  • il testimone dovrebbe rievocare e raccontare l’evento in maniera libera ed autonoma prima di porre delle domande e usare i dettagli emersi come segnali di recupero per altri;
  • le domande specifiche devono essere quanto più neutrali possibili, evitando che esse contengano preconcetti personali [cfr Eysenck, 2006; Geiselman, Fisher, MacKinnon & Holland, 1985].

Ora, nel 1987 Fisher e colleghi hanno perfezionato ulteriormente l’intervista cognitiva di base con ulteriori accorgimenti e perfezionamenti, frutto degli innumerevoli studi sulla memoria, elaborando così l’intervista cognitiva avanzata, le cui caratteristiche sono state riassunte in maniera chiara da Roy (1991): «gli investigatori dovrebbero ridurre al minimo le distrazioni, indurre il testimone a parlare lentamente, concedere una pausa tra una risposta e la domanda successiva, adattare il linguaggio a quello del testimone, far seguire qualche commento interpretativo, ridurre l’ansia del testimone, evitare giudizi e commenti personali, riesaminare sempre la descrizione del testimone di eventi e persone sotto indagine» (Eysenck, 2006, pag 245).

Tutto questo ha lo scopo di indurre ad una riflessione più critica di quello che ci viene propinato; nello specifico bisognerebbe evitare commenti che demonizzano testimoni che ritrattano o modificano la propria versione dei fatti. Molto spesso (anche se non sempre!) non si tratta di persone in cattiva fede, ma di gente a cui la memoria ha giocato brutti scherzi, in maniera naturale o per errore di chi ha il dovere di mettere i tasselli al proprio posto.

Carmelo Pacino

Info

 

 

 

Bibliografia

Geiselman, R.E., Fisher R.P., MacKinnon D.P., & Holland H.L. (1985). Eyewitness Memory Enhancement in the Police Interview: Cognitive Retrieval Mnemonics Versus Hypnosis. Journal of Applied Psychology, 18(2), 401-412.

Eysenck, M.W. (2006). Psicologia generale. Napoli: Idelson-Gnocchi.

Lanciano, T., & Curci, A. (2011). Memory for emotional events: The accuracy of central and peripheral details. Europe’s Journal of Psychology, 7(2), 323-336.

Loftus, E.F., & Burns, T. (1982). Mental shock can produce retrograde amnesia. Memory and cognition, 10, 318-323.

[1] Per un confronto più dettagliato tra ipnosi ed intervista cognitiva e per la descrizione della validità dell’intervista cognitiva si veda “Geiselman, R.E., Fisher R.P., MacKinnon D.P., & Holland H.L. (1985). Eyewitness Memory Enhancement in the Police Interview: Cognitive Retrieval Mnemonics Versus Hypnosis. Journal of Applied Psychology, 18(2), 401-412”.

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