Videogioco in classe: una reale possibilità di apprendimento?

 

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Immagine realizzata da David Bonanno

Scalando la montagna evolutiva, l’uomo ha conquistato il titolo di animale che per eccellenza è in grado di plasmare e modificare la realtà che lo circonda. In un mondo non più tramandato oralmente, il genere umano ha stretto “legami” differenti con i propri artefatti: dai disegni sulle pareti siamo arrivati al mondo dei nuovi media, cui fa parte anche il videogioco.

Questo medium, come forma di arte e di intrattenimento, si presenta non solo come insieme di immagini e suoni, ma come un più organizzato sistema di rappresentazione grafica, sonora e interattiva, che coinvolge pienamente ogni suo fruitore. Pur essendo uno strumento multimediale relativamente giovane, lo stesso è riuscito a coinvolgere milioni di giocatori in tutto il mondo, unendo linguaggi provenienti dall’ambiente letterario e cinematografico e creando atmosfere ludiche con alti livelli di simulazione.

Eppure in passato il videogioco è stato più volte etichettato attraverso pregiudizi e valutazioni negative che hanno poi portato parte della comunità scientifica a definirlo come forma ludica poco valida o dannosa per la salute. Gli stessi insegnanti, pensando ad un utilizzo in classe, si trovano sprovvisti di adeguate abilità per gestire un software così potente e si sentono più sicuri nell’ utilizzare delle modalità di lavoro tradizionali con carta, penna, gessetto e lavagna. Ma partendo dalla premessa che ogni strumento digitale, qualunque esso sia, è per natura neutrale, sta al soggetto che ne fa uso decidere entro quali confini limitarne l’uso.

Quello su cui si vuole riflettere è se attualmente è realizzabile un rapporto e un dialogo tra  mondo dei videogiochi e mondo dell’educazione: se da un lato questo strumento si porta dietro il retaggio culturale di generazioni di immigrati digitali cresciuti nell’era della carta stampata, dall’altro, il videogioco viene oggi considerato uno strumento pedagogico e culturale capace di fornire importanti stimoli per lo sviluppo dei soggetti in formazione.

Ecco che la problematica emergente dall’utilizzo delle nuove tecnologie diventa oggi sempre più complessa, soprattutto se si pensa di collocare questi strumenti all’interno di contesti didattici, promuovendo azioni volte ad analizzare e comprendere in maniera critica questo medium talvolta incompreso.

Attraverso le iniziative della Media Education e della Videogame Education è stato possibile attivare adeguati percorsi formativi centrati sullo studente, come soggetto in continua formazione, integrando la cultura multimediale con quella scolastica, familiare e locale attraverso un’educazione ai, con e per i media. Manifestatasi dopo l’avvento delle piattaforme digitali, la Media Education si propone come attività educativa e didattica finalizzata a sviluppare nei giovani una informazione e comprensione critica circa la natura, le tecniche e i linguaggi dei nuovi media, protagonisti della nuova comunità digitale.

L’attenzione  di studiosi ed accademici, tra cui Damiano Felini e Marta Mingrino, si è successivamente spostata sulle potenzialità dei videogiochi e sul percorso della Videogame Education, intesa come pratica pedagogica che considera i videogiochi come degli oggetti culturali sui quali si può insegnare qualcosa. Rivolgendosi alla progettazione educativa e mettendo al centro del processo di apprendimento l’alunno, capace di iniziativa, di ricercare soluzioni e di utilizzare nuove forme di sperimentazione, la costruzione del sapere, in tale ottica, si realizza attraverso il processo del learning by doing, ovvero dell’imparare facendo, dell’operare pensando, riflettendo, discutendo con se stessi e con gli altri. Questo perché il modello del videogioco è basato sul concetto del “play to learn, learn to play”, ovvero del giocare per imparare e dell’imparare a giocare, basato sugli stimoli motivazionali che in questo caso deriverebbero dall’uso gioioso delle sintassi del videogioco a scuola. Senza trasformare la classe in una sala giochi, l’intento è quello di creare un ponte di passaggio tra le canoniche d’insegnamento e l’apprendimento con i nuovi linguaggi, tra docente e studente, privilegiando percorsi formativi che valorizzino l’esplorazione, la creatività, la condivisione delle esperienze, il pensiero meta-cognitivo e strategico. Risultando centrale l’azione del soggetto che apprende, il processo formativo deve necessariamente abbandonare la logica dell’insegnamento (teaching centered) a favore dell’apprendimento (learning centered). L’insegnante non è più considerato un “disseminatore d’informazione”, depositario indiscusso di un sapere universale, astratto e decontestualizzato; è piuttosto un facilitatore, un tutor, un coach, che guida l’allievo a riconoscere con consapevolezza ciò che sa fare e a ridefinire in modo riflessivo la trama delle sue competenze.

Grazie a tali considerazioni è stato allora possibile individuare tre diverse modalità per accedere, comprendere e filtrare i contenuti digitali:

  1. Una forma di media education come educazione alla comprensione dei videogiochi, attraverso percorsi didattici che includono momenti di analisi iconologica, semiotica e narratologica;
  2. Una forma di videogame education rivolta alla fruizione dei videogiochi, al fine di migliorare le modalità di consumo e promuovere buone abitudini. Si parla in tal senso di attività di osservazione e auto-osservazione delle sessioni di gioco, di momenti di discussione sui generi preferiti e della creazione di una recensione sul videogame preferito;
  3. Infine una forma di videogame education rivolta alla produzione dei videogiochi, attraverso la quale gli studenti diventano produttori e creatori di un personale videogioco. Si ricorda in tal senso il progetto “Videogioca in classe”, condotto dalla Società Cooperativa “Il Sestante di Venezia”  volto ad ideare e realizzare con i ragazzi un videogioco in tutte le fasi operative (esclusa la parte di  programmazione) tramite la modellazione di plastilina ed altri supporti materiali.

La didattica può rinnovarsi trasmettendo nuovi saperi che ricevono impulsi al cambiamento, rivolgendosi alle nuove dinamiche formative, comunicative e culturali, prendendo in considerazione la possibilità di ri-progettare e sperimentare nuove forme di insegnamento o meglio, di edutainment (da education ed entertainment). A tal proposito, l’IPRASE Trentino ha ideato il progetto DANT (Didattica Assistita dalle Nuove Tecnologie) e la sperimentazione “Imparo giocando”, sviluppando videogiochi di matematica e italiano da sperimentare nell’attività didattica con i bambini. Con un preciso orientamento pedagogico sull’utilizzo delle TIC nella scuola primaria, l’ipotesi poi realizzatasi è stata quella di utilizzare il videogioco e la simulazione come  elementi della tecnologia in grado di fare più rapidamente la differenza in termini di apprendimento e motivazione. Dunque chi gioca non solo sembra apprendere di più, ma lavora anche più volentieri.

Come sottolineano Marco Pellitteri e Roberto Maragliano, all’interno di una società multimediale ci si deve confrontare con nuove strutture concettuali quali la lettura ipertestuale, la reticolarità e l’interattività. Dunque, anche all’interno delle istituzioni formali cambiano le modalità di stimolazione nei processi attentivi, nei processi di ascolto e di ricezione ed è oggi, più che mai necessaria la collaborazione di tutti, soprattutto di coloro che come esperti dei processi formativi non possono più trovarsi a dover rincorrere le nuove generazioni, che in tema di videogiochi si dimostrano più competenti.

I videogiochi influenzano ciò che sappiamo (il know what) e il nostro modo di pensare e di vedere la realtà (il know how) e per questa ragione è opportuno affrontare con saggezza e con creatività  la loro presenza. Secondo il pensiero di Ken Robinson, famoso per l’ultima sua opera “Fuori di testa”, «non è più possibile tenere la rotta dell’ambiente complesso del futuro sbirciando incessantemente in uno specchietto retrovisore, perché farlo vorrebbe dire essere fuori di testa». Trasformare l’istruzione non è facile, ma il prezzo dell’insuccesso è troppo alto da pagare, mentre i vantaggi del successo sono più di quanti riusciamo a immaginare.

foto glenda

 Glenda Platania

Info

 

 

 

Bibliografia

Annella, B., Caravita, S., (a cura di), Il bambino e i videogiochi. Implicazioni psicologiche ed educative, Edizioni Carlo Amore, Roma, 2004.

Cangià C., “Giocare o videogiocare? La comprensione del fenomeno videoludico per una sua utilizzazione formativa”, in “Cittadini in crescita”, in Rivista del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Ministero della Solidarietà Sociale, 2006.

Felini D., Videogame Education. Studi e percorsi di formazione, Edizioni Unicopl, Milano, 2012.

Mingrino M., Le potenzialità educative del videogioco, Aracne Editrice, Roma, 2014.

Robisons K., Fuori di testa. Perché la scuola uccide la creatività, Erickson, 2015.

Varisco B., M., Costruttivismo socio-culturale. Genesi filosofiche, sviluppi psico-pedagogici, applicazioni didattiche, Carocci Editore, Roma, 2002.

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