I musei etnografici: fra tradizione, cultura e territorio

 

Museo di Antropologia di Città del Messico

“Il Museo è un’istituzione permanente senza scopi di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, istruzione e diletto” – I.C.O.M. (International Council of Museum)

Da contenitore d’arte a espositore di reperti archeologici, da spazio-memoria della civiltà contadina a luogo di conoscenza delle “culture altre”: oggi più che mai i musei s’interrogano sul loro ruolo, la loro missione e, soprattutto, la loro attrattività.

Nell’immaginario comune, che cos’è il museo? Quali sono i numeri di affluenza di pubblico? Chi è il visitatore medio?

Sono questi gli interrogativi più frequenti, che scaturiscono da un’attenta e prolungata analisi: i musei hanno preso atto della loro difficoltà a parlare al grande pubblico, della necessità di una maggiore valorizzazione del patrimonio e dell’esigenza di migliorare l’accessibilità in questi luoghi che sono ancora, per riprendere un’espressione del sociologo francese Pierre Bourdier, «strumenti di esclusione e di distinzione sociale», ossia luoghi frequentati solamente da determinate fasce di pubblico ed in cui sopravvive una sorta di frattura con i profani (cfr. Bourdier, 1972).

Immagine realizzata da Laura Landi

Nel dibattito sull’urgenza di rinnovamento dei musei l’antropologia è coinvolta in prima linea, poiché, sin dalla sua nascita, la disciplina ha intessuto una stretta relazione con l’ambito museale: ad esempio nell’Ottocento i musei rappresentavano esattamente il luogo in cui confluiva il sapere e la conoscenza acquisita su popoli indigeni grazie ai numerosi oggetti esposti, i quali erano testimonianza e frutto delle esplorazioni in terre semi-sconosciute. Si pensi al Musée de l’Homme di Parigi, il quale ha ereditato tutta la collezione dell’antico Musée d’Ethnographie del Trocadéro, quest’ultimo fondato nel 1878 e recante collezioni risalenti al XVI secolo, nonché reperti provenienti da spedizioni scientifiche in tutto il mondo. L’antropologia era, pertanto, Antropologia Museale (cfr. Clemente, 2006).

Nel corso del tempo la suddetta disciplina ha conosciuto un processo di ripensamento critico e oggi, attraverso la pratica museale, presenta il suo duplice approccio:

  • con i grandi musei etnografici dal fascino esotico, l’antropologia affronta il tema dell’interpretazione delle culture altre, per restituire il punto di vista dei popoli un tempo colonizzati;
  • con i piccoli musei etnografici, che parlano della civiltà contadina, del folklore e delle tradizioni popolari, è memoria della nostra cultura, della vita e della quotidianità della gente comune.

Immagine realizzata da Laura Landi

Sovente il museo appare un ambiente refrattario alla modernità; gli oggetti esposti sembrano avere il sapore di luoghi e tempi lontani, vissuti e fermi come istantanee in un passato che più nessuna relazione intrattiene con il presente. In realtà, c’è dell’altro: in entrambi i casi, il museo etnografico si afferma sempre più come luogo del patrimonio e della mediazione.

E’ opportuno un chiarimento sui sopraccitati termini. Per “patrimonio” non si deve intendere solamente ciò che è passivamente esposto, ma vera e propria produzione di beni culturali. Come afferma l’antropologo Fabio Dei: «I musei etnografici trasformano oggetti privi di valore ripescati in soffitte e magazzini, pratiche informali della quotidianità, saperi impliciti e fluidi, frammenti di memorie personali non strutturate, in Beni Culturali formalizzati, repertoriati, schedati, istituzionalmente riconosciuti» [Dei, 2012:54]. Per “mediazione”, invece, s’intende un processo di coinvolgimento e relazione tra oggetto e uomini. In termini più pratici: il museo etnografico promuove una maggiore consapevolezza del rapporto “bene-contesto- comunità”. Fondamentale a tal fine è quindi rompere l’isolamento, risanare il legame di appartenenza di una comunità ad un territorio e creare, come lo ha definito l’antropologo Marco Turci, un «patrimonio attivo, ossia atto a produrre socialità» [Turci, 2012: 52].

Ci si chiederà: come può un luogo stimolare tale azione? Per ridefinire questi spazi ed assegnare loro capacità comunicativa, il ruolo dell’antropologo si rivela un ruolo chiave: tramite l’osservazione e lo studio, l’antropologo partecipa alla definizione e alla costruzione dell’identità di un gruppo e favorisce il processo di integrazione sociale, dando vita ad immagini complessive delle culture a partire non solo più dagli oggetti in sé, ma dal contesto e dalla comunità nella quale tale oggetto è nato. Senza dimenticare l’importanza della narrazione, del racconto delle storie, delle storie di vita e delle comunità. L’antropologo Vincenzo Padiglione, sottolineando il valore della parola scritta, invita alla realizzazione di musei etnografici fortemente comunicanti: narrazione non solo di memorie personali e collettive, ma configurazione del percorso stesso espositivo come racconto (cfr. Andreini, 2009).
Ecco allora che il baricentro si sposta e la comunità passa in primo piano. Il museo etnografico è interessato sì agli oggetti, ma tali in quanto testimoni, in quanto prodotto che ha partecipato a delle biografie.

Questa breve presentazione sui musei invita ad una visione a tutto tondo su ciò che ruota attorno a questi ambienti carichi di valenza culturale, che prima di tutto hanno il fascino della meraviglia, della scoperta, e della riscoperta.
L’esperienza di visita in un museo è, e dovrebbe essere, un’esperienza visiva ed emotiva; l’edificio non è solo un contenitore, ma parte integrante e attiva nel percorso di conoscenza e di relazione. Oggi si parla di “museo diffuso”, o “ecomuseo”: spazio senza pareti, territorio, paesaggio, architettura e tradizioni orali. Tutto questo facendo leva sulla rete museale e sull’ideazione di nuove strategie d’allestimento, organizzative e comunicative. Come afferma Hugues de Varine, museologo francese: « Per me l’ecomuseo è una azione portata avanti da una comunità, a partire dal suo patrimonio, per il suo sviluppo. L’ecomuseo è quindi un progetto sociale, poi ha un contenuto culturale e infine s’appoggia su delle culture popolari e sulle conoscenze scientifiche».

Alla luce di questo breve articolo potremmo ora riflettere sul fatto che il museo è orientato al futuro più di quanto immaginiamo, coinvolgendoci nella desiderio di preservare, per il domani, quel passato che profondamente ci appartiene.

Maria Silvia Possidente

Info

 

 

 

Bibliografia

Andreini, A. (a cura di), La parola scritta nel museo. Lingua, accesso, democrazia (atti del convegno), Centro Stampa Giunta Regione Toscana, 2009

Bourdieu, P. e Darbel, A., L’amore dell’arte, le leggi della diffusione culturale: i musei d’arte europei e il loro pubblico, Guaraldi, Rimini, 1972

Ciabarri, L., (2014), Cultura materiale. Oggetti, Immaginari, Desideri in viaggio tra mondi, Cortina Editore, Milano, 2014

Clemente, P., “Antropologi tra museo e patrimonio”. In Il patrimonio culturale, Annuario di Antropologia, anno 6, n. 7, Meltemi Editore, Roma, 2006

Da Milano, C. e Schiacchitano, E., Linee guida per la comunicazione nei musei. Segnaletica interna, didascalie e pannelli, Capponi Editore, Ascoli Piceno, 2015

Gennaro, E., (a cura di), Il museo, la città e gli uomini. La ricerca antropologica al servizio dell’educazione. Quaderni di didattica museale, Grafiche Morandi, Fusignano, 2009

Sitografia

www.icom.museum

http://terraceleste.wordpress.com/2008/07/29/piccolo-dialogo-con-hugues-de-varine-sugli-ecomusei-di-stefano-buroni/

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