Una sfida chiamata demenza: tra assistenza ed interventi innovativi


La demenza è un problema che coinvolge la persona nella sua globalità ed i familiari nell’assistenza e nella cura del malato. Nei paesi industrializzati si riscontra nell’8% delle persone sopra i 65 anni e sale ad oltre il 20% dopo gli 80 anni. L’Italia è uno dei paesi europei più anziani: quasi il 17% della popolazione ha superato i 65 anni di età. L’invecchiamento della popolazione è strettamente correlato all’aumento di molte malattie croniche, tra cui spiccano le demenze (Report: The Global Impact of Dementia, 2015).

La demenza è un concetto ad ombrello, in quanto racchiude in sé sindromi complesse e variabili, dovute ad un progressivo malfunzionamento cerebrale che porta una perdita di abilità personali, sociali/lavorative e una scarsa qualità delle relazioni interpersonali instaurate (Borri M., 2012).

La forma di demenza più comune è quella di Alzheimer. Otto sono i sintomi premonitori che la caratterizzano (Report: Alzheimer Association, 2015).

1. Perdita di Memoria, dimenticanza frequente di cose da fare, scadenze, nomi di persone e/o confusione mentale.

2. Incapacità nel portare avanti compiti semplici e abitudinari (ad esempio, prendersi cura della propria igiene personale) e/o compiti più complessi (ad esempio, prepararsi il pasto).

3. Problemi di linguaggio, difficoltà di produzione e/o comprensione, fino a dimenticare e sostituire parole semplici con termini impropri.

4. Disorientamento nel tempo e nello spazio, incapacità nel ricordare il giorno della settimana, l’abito da indossare congruo alla stagione, fino a perdere la strada di casa.

5. Diminuzione della capacità di giudizio nelle situazioni di vita quotidiana.

6. Difficoltà nel pensiero astratto, ad esempio nel non riconoscimento dei numeri che porta, di conseguenza, ad un errato uso dei soldi.

7. Cambiamento di umore e di comportamento rapidi e repentini che portano dalla pacatezza all’irascibilità e al sospetto.

8. Mancanza di iniziativa e perdita di interesse per le proprie attività.

Nonostante gli sforzi e le recenti scoperte nel campo delle Neuroscienze su questa patologia, non esistono terapie adeguate per sconfiggerla. Sussistono, però, terapie farmacologiche e non farmacologiche che possono, in parte, rallentare l’evoluzione della malattia (Rivista “Alzheimer, una sfida da vincere”, 2017).

Un intervento non farmacologico utile da realizzare è quello che considera la centralità della sua persona, i suoi bisogni somatici, psicologici e sociali (concetto espresso nel 1997 da Kitwood, dal termine personhood). Tra quelli più innovativi ed efficaci possiamo citare: la Terapia del Treno, la Terapia Snoezelen e la Terapia della Bambola.

L’obiettivo specifico che si pone la Terapia del Treno è quello di ridurre i sintomi comportamentali del paziente, stimolare i sensi e le funzioni cognitive. Si ricrea la sala d’aspetto della stazione ferroviaria e il vagone di un treno. Il finestrino di ogni vagone è uno schermo che trasmette il susseguirsi di paesaggi, proprio come se si fosse in viaggio. I sedili sono poltrone posizionate l’una di fronte l’altra, per favorire la comunicazione tra gli anziani che diventano passeggeri a tutti gli effetti. L’operatore fa timbrare alla persona il biglietto e lo fa accomodare al suo posto. Durante il viaggio la stimolazione viene data dagli altri partecipanti, dagli operatori e dai paesaggi del finestrino. Ciò può coadiuvare il rilassamento e la condivisione di ricordi (Cilesi, 2009).

La Terapia Snoezelen nasce in Olanda negli anni ’70 e deriva dalla fusione di due verbi olandesi: Snuffelen (esplorare) e Doezelen (rilassare). Il suo obiettivo è quello di coinvolgere e stimolare le residue abilità senso-motorie delle persone con demenza, senza porre richieste eccessive sulle capacità cognitive. Un’esposizione graduale della persona in un ambiente calmante e stimolante per i cinque sensi, porta risultati positivi, soprattutto nella riduzione dell’apatia nelle fasi avanzate della demenza (Van Weert, JAGS, 2005).

L’obiettivo specifico della Terapia della Bambola è quello di favorire la diminuzione di alcuni disturbi comportamentali, attraverso l’attivazione di relazioni tattili scaturite dall’accudimento di una bambola dalle caratteristiche simili a quelle di un neonato. L’interazione con la bambola è monitorata e coordinata da operatori professionisti (Mackenzie Wood-Mitchell e James, 2007).

Tali terapie possono indurre a riconsiderare la demenza e ad approcciarsi ad essa come il risultato di una complessa interazione tra cinque componenti principali: la personalità dell’individuo, la sua storia di vita, la sua salute fisica, il danno neurologico e l’ambiente sociale che lo circonda (Kitwood, 1993).

Per contrastare il dilagante pessimismo terapeutico, per il quale, ricevuta la diagnosi di demenza la persona può solo incorrere in un peggioramento senza via di fuga, si può fare riferimento ad un concetto espresso da Kitwood nel 1996, quello di remenza (Kitwood, 1996).

Questo termine descrive bene quelle persone che mostrano segni di miglioramento funzionale, nonostante la sofferenza quotidiana causata dalla demenza. Quando si supportano le competenze residue, senza soffermarsi solo ed esclusivamente sulle lacune mostrate e si passa da un ambiente sociale negativo ad uno supportivo, si può andare oltre la disabilità data dalla propria condizione, per trovare un nuovo adattamento vitale (Kitwood, 1996).

Affiancare interventi innovativi e personalizzati alle cure farmacologiche può permettere ai familiari e agli operatori di accogliere e arricchire il viaggio che si trovano ad affrontare le persone con demenza. Nonostante l’impossibilità di guarire dalla condizione dementigena, essa può essere trattata e nessun intervento è uno spreco di tempo ed energie, dato che non è certamente detto che tale condizione ne annullerà ogni effetto benefico.

Soffermandosi sulle esigenze e i bisogni della singola persona sarà garantita la sua sopravvivenza di base, la sua indipendenza (fin dove è possibile) e il suo libero arbitrio: solo così si potrà aiutare il malato a non entrare in una spirale di peggioramento e ad imparare ancora, tramite un’adeguata stimolazione cognitiva.

Valentina Massaroni

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Bibliografia

Alzheimer, una sfida da vincere” in Alteya Cooperativa Sociale Onlus, 2017

Borri M., “Storia della malattia di Alzheimer”, Il Mulino, Bologna 2012

Kitwood T., (1997) “Dementia reconsidered: the person comes first” in Open University Press.

MacKenzie L., Wood-Mitchell A. and James I., (2007) “Guidelines on using dolls” in Journal of Dementia Care, 15, 26-27.

Dewing J., (2008) “Personhood and dementia: revisiting Tom Kitwood’s idea” in International Journal of Older People Nursing, 3(1): 3-13

Van Weert JC, Van Dulmen AM, Spreeuwenberg PM, Ribbe MW, Bensing JM (2005) “Behavioral and mood effects of snoezelen integrated into 24-hour dementia care” in J. Am Geriatr Soc 53(1): 24-33

Sitografia

www.alz.org

www.old.iss.it

www.fondazionekor.it

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