Come gestire una classe “difficile”

Tra i banchi di scuola gli insegnanti sognano di ritrovarsi in mezzo ad alunni interessati, motivati, curiosi di storia piuttosto che di chimica, ma raramente questo sogno si avvera. Si trovano invece ad affrontare una situazione davanti alla quale non sanno come comportarsi, soprattutto quando ci si confronta con alunni che non nutrono alcun interesse nell’apprendimento di una materia e che con la loro irrequietezza trasformano ogni giornata in una lotta continua, creando momenti di tensione e quasi mai di serenità ed entusiasmo nell’imparare qualcosa di nuovo.

L’attenzione di diversi studiosi si è spesso concentrata su uno dei periodi più difficili della crescita dell’individuo, uno dei più contorti dal punto di vista emozionale, sociale, relazionale e affettivo: quello che va dalla pre-adolescenza alla piena adolescenza.

E’ infatti dai 10 anni in poi che l’individuo lotta per la costruzione di una sua identità e, al contempo, si scontra con i cambiamenti del proprio corpo, indotti da una pubertà fisica e da una ancor più intima maturazione dei processi di pensiero. Sostenuto da queste nuove capacità, l’adolescente inizia un percorso lungo e complesso che lo porterà ad uscire dalla sua identità infantile, per giungere all’elaborazione di un’identità personale e matura (Erikson, 1982). La figura dell’adulto, continua a
rappresentare un punto focale per l’individuo in crescita, ma la lotta per la definizione della propria identità trova il suo baricentro neI mondo interno (Mazzucchelli, 2013). Ciò che più definisce questo periodo, infatti, è una proprietà non definibile, il “non essere” più un bambino ma nemmeno un adulto, e tutto ciò ruota inevitabilmente intorno a sentimenti di incertezza, di vulnerabilità, di voglia di trasgredire e di rendersi protagonisti di facili conflitti (ibidem), non solo in famiglia, ma anche a scuola.
Tutto ciò è inequivocabile e visibile soprattutto quando ci troviamo di fronte a ragazzi adolescenti che vivono situazioni caratterizzate da carenze di ordine materiale e relazionale, nonché carenze educative che li costringono a sentirsi spesso soli o addirittura diversi, con il rischio di delinquere o di adottare comportamenti socialmente punibili (Bertolini e Caronia, 2016).

Ma come agire allora?

E’ giusto mettere in pratica tecniche punitive o un atteggiamento permissivo può dare spazio al dialogo? Rispondere con urla o rimproveri è inutile, se non talvolta distruttivo. Infatti, uno stile autoritario raramente sollecita l’opinione del ragazzo, che viene più volte rimproverato senza alcuna spiegazione e senza così lasciare spazio al dialogo (Baumrind, 1991). Questi ragazzi cercano volontariamente lo scontro e come per gioco, mettono alla prova il loro interlocutore: ad esempio mangiano in classe, scarabocchiano i banchi, gettano via le schede didattiche fornite dall’insegnante e le utilizzano come palline da lanciare agli altri compagni di classe, scrivono solo alcune righe delle lezioni e tendono a creare del “movimento” all’interno dell’aula, non permettendo così la riuscita della lezione o parte di essa (Blum, 2013).

Allora l’insegnante, nonostante le possibili difficoltà nel riuscire a catturare l’attenzione dei propri ragazzi, può e deve trovare il modo di porsi come educatore ed interlocutore, in grado di ascoltare e rispondere ai loro bisogni cognitivi ed affettivi, rendendo un’esperienza per loro negativa, entusiasmante e significativa (Bertolini e Caronia, 2016). Oltre ad essere uno specialista della materia insegnata, deve possedere un’eccellente capacità comunicativa e tanta pazienza, senza imporsi con autorità, ma instaurando un rapporto di fiducia e di rispetto reciproco con i propri studenti adolescenti, offrendo loro un’atmosfera calma, che in situazioni di scontro, si rivela vincente (Blum, 2013).

Quali sono i punti chiave da tenere a mente per la gestione di una classe?

  1. Innanzitutto è importante conoscere i propri ragazzi, non solo chiamandoli per nome, ma conoscendoli nelle loro storie che saranno differenti per vari motivi. Ognuno di loro ha qualcosa da raccontare e talvolta questo si esprime con rabbia all’esterno, per paura di essere giudicati nella propria intimità (Bertolini e Caronia, 2016).
  2. Anche l’utilizzo di un linguaggio semplice e alla portata di tutti può aiutare. Più ci si allontana da una comunicazione chiara, immediata e quindi efficace, più sarà difficile approcciarsi con naturalezza a questi ragazzi che ricercano negli adulti solo un pizzico di spontaneità (ibidem).
  3. Senza dimenticare che la progettazione di una lezione diventa altrettanto importante, evitando quella fastidiosa percezione del “non sapere cosa fare o cosa dire”. Sfruttare positivamente gli interessi dei propri studenti può dare i giusti input all’insegnante per progettare una lezione sugli elementi che a loro piacciono. Se ad esempio una buona parte di loro ama giocare a calcio ed è giunto il momento di fare inglese, “let’s play football”, e la lezione è fatta (Calvani, 2011).
  4. Ma se vogliamo conquistare facilmente la loro fiducia, essere troppo confidenziali non risulta utile. E’ importante, piuttosto, cercare di mantenere il giusto grado di autorevolezza, così da evitare la confusione di ruoli, seppur ci siano tanti modi di essere autorevoli. In parte l’autorevolezza deriva dalla sicurezza, dall’autostima e dal senso di efficacia che un insegnante riesce a conquistare, ma in buona misura deriva anche dalla coerenza tra comportamenti manifesti e convinzioni profonde. Questi fattori determinano infatti l’immagine dell’insegnante che gli studenti interiorizzano e il relativo tasso di autorevolezza (Pergola, 2018).
  5. Quando invece la situazione è negativa e frustrante, diventa vitale la necessità di gratificare positivamente quelli che manifestano comportamenti problema, nel momento in cui invece il loro comportamento va nella nella direzione desiderata. Diventa fondamentale in questo caso gratificare i comportamenti positivi all’inizio di una lezione che si prospetta difficile, così da ripristinare facilmente l’equilibrio desiderato (ibidem).
  6. Infine, condividere con il gruppo classe poche e semplici regole, renderà tutto più semplice da gestire. Le regole potranno essere ricordate ad inizio lezione ed una volta interiorizzate, tutto sarà più fluido. Troppe volte, infatti, questi ragazzi vengono rimproverati per i loro comportamenti senza poi capirne il perché. Altre volte, però, il loro errare è solo una richiesta d’aiuto (Gentile e Sitta, 2006).

E’ chiaro che ogni insegnante è anche un essere umano e pertanto, può avere momenti di sconforto, di demotivazione, soprattutto quando i risultati non sono immediati ma si vedono dopo mesi di lavoro e di relazione con il proprio gruppo classe. I ragazzi sono immersi talvolta in un clima familiare e sociale ostile e diffidano dell’altro, in quanto sono mancanti di punti di riferimento, di una guida che possa accompagnarli nel difficile percorso verso la maturità (Pastore, 2013).

Sono dei “ragazzi difficili”, ovvero ragazzi la cui condizione è definita come “problematica” e superabile solo attraverso la costruzione di una riflessione pedagogica e di strategie d’intervento che guardano all’individuo non come ad una categoria, ma come soggetto che si fa carico di specifiche esperienze di vita (Bertin, 1973).

Dietro ogni atteggiamento c’è sempre una storia.

Una biografia, una narrazione ed una personale visione del mondo che porta ognuno di noi ad essere come siamo. Un progetto educativo può essere realizzato solo andando oltre l’apparenza di comportamenti talvolta difficili da accettare, sia per migliorare la condizione dei singoli adolescenti ed il loro rapporto con il mondo degli adulti, sia per prevenire il disagio agendo sulle situazioni definite a rischio, attraverso la promozione di pratiche educative positive. E’ chiaro che essere e comportarsi da buoni insegnanti non è detto che estinguerà definitivamente i comportamenti che riteniamo sbagliati, ma se l’insegnante competente saprà trasmettere la passione che nutre ai propri studenti, probabilmente il percorso formativo diventerà man mano più agevole, riuscendo così anche a trasmettere ai propri studenti senso di responsabilità, fiducia in sé stessi, curiosità e voglia di imparare.

Non esiste però un vademecum che spiega ad insegnanti ed educatori cosa e come fare. Esiste piuttosto una domanda che nasce da un bisogno concreto ed ovvero: “Cosa posso fare?” e porsi questa domanda induce un buon insegnante a rimodellare la propria azione per renderla efficace in direzione degli obiettivi educativi e formativi. Evitare di giudicare questi ragazzi per come agiscono, parlano o per come si vestono non è poi così difficile. Basta farli sentire importanti, con piccoli gesti e far capire loro che anche la scuola può diventare un luogo sicuro, un contesto protetto in cui trovare il giusto sostegno, in caso di difficoltà, in cui essere accolti a braccia aperte.

 

Glenda Platania

Info

 

 

 

 

Bibliografia

Baumrind, D., (1991), “The Influence of Parenting Style on Adolescent Competence and Substance Use”, Journal of Early Adolescence, 11

Bertin G.M. (1973), Educazione e alienazione, Firenze, La Nuova Italia

Bertolini P., Caronia L. (2016), Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee d’intervento: Pedagogia interpretativa e linee di intervento, Milano, FrancoAngeli

Blum P. (2013), Sopravvivere nelle classi difficili. Manuale per gli insegnanti, Trento, Erickson;

Calvani A. (2011), Principi dell’istruzione e strategie per insegnare. Per una didattica efficace, Roma, Carocci Editore

Erikson E. (1982), I cicli della vita. Continuità e mutamenti, Armando Editore

Gentile M. e Sitta E. (2006), Il clima e la costruzione del gruppo classe. Religione e Scuola, 34/5

Mazzucchelli F. (2013), La preadolescenza: passaggio evolutivo da scoprire e da proteggere, Milano, Franco Angeli;

Pastore F. (2013), Le problematiche dell’adolescenza. Verso la formazione del sé. I comportamenti a rischio, AITW Edizioni;

Pergola F. (2018), Un insegnante quasi perfetto: Ascoltare la relazione per crescere insieme, FrancoAngeli, Milano;

Schaffer H. R. (1998), Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore.

Sitografia

Giunti Scuola.it (2009), “Il clima positivo in classe”: http://media.giuntiscuola.it/_tdz/@media_manager/722994.ps-3-clima-positivo

La Repubblica.it (2018), “La miglior risposta ai ragazzi difficili è farli sentire amati”: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/02/15/la-miglior-risposta-ai-ragazzi-difficili-e-farli-sentire-amati18.html?refresh_ce;

La Stampa (2017), “Come gestire i comportamenti problematici degli alunni”: https://www.lastampa.it/scienza/2017/10/13/news/come-gestire-i-comportamenti-problematici-degli-alunni-1.34401693;

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