Festeggiare i papà e non tornare alla preistoria

Immagine di Cinzia Perrotta

È dai primi decenni del ventesimo secolo che ogni 19 Marzo (San Giuseppe) ricorre la festa del papà, almeno nei Paesi di tradizione (anche) cattolica come quello italiano. Ma chi sono i padri del passato, chi i cosiddetti “nuovi padri” e come immaginiamo i padri di domani? Come potrebbero, i professionisti dell’educazione, sostenere questo percorso evolutivo? Potrebbe essere utile partire dallo studio storico-sociale della figura paterna?

La paternità nell’antichità: due opposti per guardare al presente e al futuro

Ecco due esempi di paternità abbastanza “estremi” per riflettere sui tanti volti assunti dalla paternità nel tempo; il primo è quello del padre preistorico, il secondo è quello del padre Romano.

  1. Pare che i padri non sapessero di essere tali prima del quarto o quinto millennio a.C., periodo in cui il ruolo maschile in materia di fecondazione sarebbe stato compreso da egiziani e indoeuropei (Lenzen, 1994; Dupuis, 1992), infatti prima di allora si credeva che le donne venissero fecondate da elementi naturali (la pioggia, l’aria, la Luna, i frutti o le stelle). Ciò nonostante, gli uomini assumevano un ruolo affettivo e protettivo, supportando la donna con i piccoli e comportandosi perciò in un modo che definiremmo paterno, seppur inconsapevole (Quilici, 2010).
  2. Facendo un salto fino all’epoca romana, veniamo catapultati in una storia opposta, fatta di padri fin troppo “ingombranti”. Per il diritto romano i “veri cittadini” erano solo i maschi a capo di un gruppo familiare; questi “Pater familias” avevano un potere illimitato su figli, discendenti, mogli e schiavi (Quilici, 2010). Il padre poteva disporre dei figli in ogni modo; aveva il diritto di vita e di morte su di loro (“ius vitae et necis”) e altresì il diritto di venderli. Poteva anche non farli nascere (imponendo un aborto) o esporli appena nati (ovvero abbandonarli a se stessi) senza che la madre avesse voce in capitolo (Quilici, 2010). Non sorprende allora che i figli non festeggiassero questi padri e ricorressero piuttosto al parricidio; non era raro odiare il proprio padre e arrivare ad ucciderlo pur di vendicarsi e di diventare liberi e adulti (Quilici, 2010).

E i padri di oggi? Quanto sono cambiati? 

Ogni generazione di papà – più o meno consapevolmente – cerca di sviluppare il proprio sapere e costruire la propria identità genitoriale, scegliendo cosa ripetere e cosa cambiare rispetto al passato, alternando continuità e rotture. I padri moderni sembrano determinati a trovare un vero e proprio punto di svolta che permetta di dire addio non solo ai modelli di “paternità tossica” (pensiamo all’esempio dei padri Romani), ma anche a quelli di paternità disgiunta da una profonda consapevolezza del ruolo (la paternità preistorica è esemplare in quest’altro senso).

Potremmo descrivere il loro nuovo volto ricorrendo a quattro parole chiave: consapevolezza e reinvenzione, equilibrio e affettività.

  • Consapevolezza e reinvenzione: Gli esempi familiari cui si ha avuto accesso personalmente contano molto: «ogni genitore situa e interpreta il figlio dentro il proprio spazio autobiografico» (Fabbri, 2008:47). In altre parole, ciascuno è cresciuto in una famiglia con delle proprie routine, visioni, filosofie, pratiche, regole, allusioni, sensibilità e convenzioni, che è bene analizzare criticamente. Non è possibile generalizzare e affermare che i padri siano (o siano stati) tutti in un certo modo, senza tener conto delle eccezioni e delle differenze individuali, eppure si possono evidenziare delle tendenze generali. Per quanto riguarda i padri nuovi possiamo notare il forte interesse a ridefinire il proprio ruolo e ricontrattare il proprio potere per re-inventare la paternità e superare i refusi del passato. Come vogliono essere? Sicuramente presenti e importanti, ma in modo equilibrato e positivo. La loro importanza infatti abita sempre più la dimensione affettiva e sempre meno quella del potere: oggi ci si sente emotivamente arricchiti dall’esperienza della paternità (Quilici, 2010). Il padre moderno vuole entrare in sala parto, a volte sceglie di godere del congedo parentale, sempre più spesso gioca con i figli e passa del tempo di qualità con loro, li accompagna a fare sport o dal pediatra, senza mancare ai colloqui scuola-famiglia o altro ancora. A chi ancora fatica a mettere in luce l’importanza della figura paterna, possiamo rispondere anche con le parole di studiosi importanti, come M. Montessori e J. Bowlby, teorici per cui il padre moderno sembra dimostrar di essere sempre più significativo. Quando la Montessori (1989) descrisse il cosiddetto istinto di maternità (protezione, accudimento e tenerezza), affermò che anche i papà avessero un simile istinto; Bowlby dal canto suo scrisse; «fornendo una figura d’attaccamento per il figlio, il padre può assumere un ruolo che assomiglia strettamente a quello materno» (Bowlby, 1989:10).
  • Equilibrio e affettività: A trasformarsi in direzione paritaria non è solo il rapporto padre-figli, ma anche quello tra genitori, i quali condividono l’impegno di cura educativa e sono inclini a cooperare e a sentirsi complementari, percependo la funzione materna e quella paterna come più intercambiabili di un tempo (Putton, Molinari, 2011). Entrambi i genitori oggi cercano di legittimare, sostenere e aiutare l’altro rispettando il suo modo di vivere la genitorialità, per permettere ai figli l’accesso a entrambe le figure: «la coppia deve essere considerata come il punto di partenza, di ritorno e rilancio per una genitorialità riuscita» (Iafrate, Rosnati, 2007:124). 

Un lieto fine per questa storia?

Non possiamo ancora concludere con un bel “vissero tutti felici e contenti”; nella società odierna infatti, nonostante i significativi passi avanti, ci sono dei rischi ancora attuali per la paternità:

  • Culturalmente ancora si insiste nel delegare quasi tutto alle mamme – per questo appesantite e troppo escluse dal mondo del lavoro. 
  • I papà possono sentirsi disorientati, inadeguati, poco valorizzati e sostenuti, intrappolati ancora in una posizione periferica. Tra le cause vi sono rappresentazioni sociali ingiuste nei confronti dei papà, visti soltanto come sostegno economico e figura di autorità, oppure confusi con dei “mammi” privi di un’identità propria (un’identità maschile). 
  • Infine, i padri sembrerebbero ancora alla ricerca di un faticoso equilibrio tra due estremi già analizzati nel nostro excursus storico: l’estremo assenteista (favorito dall’attuale concezione materno-centrica della famiglia) e l’estremo della tirannia del “padre-padrone” (sempre in agguato). 

La storia della paternità risulta dunque molto complessa e ricca di spunti di riflessione cui ispirarsi per un lavoro di tipo pedagogico con le famiglie.

Ma cosa possono fare educatori e pedagogisti?

  • Evitare di rivolgersi ad un pubblico di sole mamme quando si organizzano ed erogano servizi per le famiglie: significherebbe sovraccaricare eccessivamente le mamme e screditare implicitamente i papà, la cui presenza rischia erroneamente di apparire come secondaria/sacrificabile.
  • Non dimenticare le famiglie omogenitoriali composte da coppie di papà, così come i papà single: ognuno di questi padri merita maggiore considerazione e riconoscimento. 
  • Nominare, prevedere e coinvolgere maggiormente i papà, dedicando loro momenti di confronto e riflessione individuale, di coppia e di gruppo (gruppi di confronto tra papà o consulenze pedagogiche per singoli papà…).
  • Aiutare i papà a decostruire e ricostruire la loro identità, considerando anche le varie evoluzioni storiche-sociali.
  • Portare avanti un lavoro culturale, in virtù del fatto che la cultura in cui si è immersi può influenzare i genitori e viceversa.
  • Accompagnare e sostenere i papà (e le coppie) che sono alla ricerca di nuovi modi di agire ed educare, per aiutare a divenire “genitori riflessivi” sempre più capaci di apprendere conoscenze genitoriali (Fabbri, 2008).
  • Aiutare le coppie a rimanere coppie genitoriali anche in caso di separazione (ove possibile, ovvero in assenza di problemi di violenza, maltrattamenti ecc.). Proprio in fase di separazione infatti aumenta concretamente il rischio di marginalizzazione della figura paterna.

Grazie a questo impegno dalle molteplici sfumature, la festa del papà potrebbe diventare ancora più colorata, sentita e ricca di significato.

cinzia perrottaCinzia Perrotta

Info

 

 

Bibliografia

Bowlby, J., (1989), Una base sicura. Applicazioni cliniche alla teoria dell’attaccamento, Milano, Raffaello Cortina Editore.

Dupuis, J., (1992), Storia della paternità, Milano, Tranchida.

Fabbri,, L. (2009), “Il genitore riflessivo. La costruzione narrativa del sapere e delle pratiche genitoriali”, In Rivista Italiana Di Educazione Familiare, 3(1), 

Iafrate, R., Rosnat, R., (2007), Riconoscersi genitori: i percorsi di promozione e arricchimento del legame genitoriale, Trento, Erikson.

Lenzen, D., (1994), Alla ricerca del padre, Bari, Laterza.

Montessori, M., (1989), Il segreto dell’infanzia, Milano, Garzanti.

Putton, A., Molinari, A., (2011), Manuale di empowerment con i genitori: preparare i figli ad affrontare la vita, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli Editore.

Qulici, M., (2010), Storia della paternità: dal pater familias al mammo, Roma, Fazi Editore.

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