Vivere nell’Antropocene – Pt. 2

Nell’era dell’Antropocene i cambiamenti non sono più generati dalla Natura bensì dall’Uomo. Queste trasformazioni si pongono come un’emergenza da risolvere, poiché le risorse stanno finendo e il pianeta non riesce più a sostenere la presenza di una società umana che vive secondo un modello di progresso e crescita illimitati.

Gregory Bateson parlava, in tutti i suoi scritti, di una «struttura che connette» [Bateson,1984:21]. Alla base del suo pensiero vi è la convinzione che tutti i sistemi siano interconnessi in una rete e non si possa considerare nessun sistema preso singolarmente. Uomo e ambiente non sono due entità separate, ma costituiscono un’unica unità di sopravvivenza che stabilisce quella “sacra unità”, necessaria, tra mente e natura [ibidem]. L’essere umano, però, pensando in maniera finalizzata, commette l’errore di trascurare la natura sistemica del mondo in cui vive dimenticando il suo essere parte di un sistema più ampio, un tutt’uno che s’influenza reciprocamente e i cui cambiamenti si diffondono e hanno effetto lungo tutto il sistema [ibidem]. Per Bateson l’uomo è in grado di modificare l’ambiente e potenzialmente di devastarlo, devastando dunque sé stesso.

Antropocene: Il potenziale distruttivo

Il procedere inarrestabile dello sviluppo e del progresso sembra accompagnarsi alla potenziale distruttività dell’essere umano. Lo sviluppo, come lo concepiamo nella cultura dell’Antropocene è secondo Marco Aime «l’espansione planetaria del sistema di mercato; esso sembra naturale nel senso che noi lo pensiamo come tale come un destino a cui non è possibile sfuggire e ci crediamo come si crede a un mito: lo sviluppo è il mito fondante della società capitalistica di mercato» [Aime, 2020:122].  Si è andati avanti nella stessa direzione per secoli, quella della crescita infinita con «cecità» e senza sospensioni, ignorando il fatto che l’idea di elevare tutti gli esseri umani al tenore di vita degli occidentali è già stata tradita dagli eventi che stanno dimostrando come sia impossibile far durare una crescita che non sia sostenuta dall’ecosistema Terra.

La sospensione imposta dalla pandemia da covid-19 chiama a una riflessione: per la “ripresa” la domanda che ci si pone è “rimontare sullo stesso treno e proseguire alla stessa velocità e verso la stessa direzione secondo gli stessi valori?” oppure “stabilire la necessità di un nuovo paradigma che sia sostenibile introducendo il concetto del limite nel pensare al futuro e creare nuovi modelli secondo nuovi valori?”. Per Aime dovremmo fermare il nostro treno e ripensare il percorso adesso che sappiamo che ciò che manca è un’operazione che abbia la capacità di arrestare la nostra cultura nel suo complesso [cfr Aime, 2020:142]. Come fare?

La Pedagogia delle catastrofi e la decrescita

L’espressione è di Denis de Rougemont[1] ed è stata “adottata” dall’economista Serge Latouche nel suo libro La scommessa della decrescita [2007]. Latouche punta sul sopravvento prodotto dai pericoli a cui andiamo incontro per uscire dal delirio (furore) della società produttivista. I disastri si presentano come occasioni utili per aprire gli occhi di fronte alla sofferenza e al malessere generati infatti «l’ipotesi è che le catastrofi inaspettate possano insegnarci qualcosa inducendoci a riflettere su alcuni comportamenti e a rivedere determinate scelte culturali» [ivi, 2007:179].

Partendo dunque dal presupposto dell’incompatibilità di una crescita infinita in un pianeta dalle risorse limitate Latouche ipotizza la costituzione di una «società della decrescita» dove «il termine decrescita è uno slogan che raccoglie gruppi e individui che hanno formulato una critica radicale dello sviluppo, come lo abbiamo vissuto e lo viviamo, e sono interessati a individuare gli elementi di un progetto alternativo per una politica del doposviluppo» [ivi, 2007:12]. Si tratta della transizione verso una società sostenibile ma afferma Latouche «di certo la costruzione di una società della decrescita non potrà avvenire senza un nuovo reincanto del mondo»[ivi, 2007:181].

Secondo l’economista, infatti, la società moderna «avrebbe dovuto auto-istituirsi senza ricorrere a un garante meta-sociale e rompere con l’eteronomia tradizionale, che avrebbe dovuto portare a una vera democrazia autonoma di uomini liberi, inventa la coercizione e la proietta in una natura delle cose: la mano invisibile del mercato e la legge del progresso. Tutto questo è stato compiuto «in nome di altre divinità: la Razionalità, il Progresso, la Scienza, la Tecnica, lo Sviluppo Economico» [ivi, 2007:182].

Un mondo re-incantato

Per l’antropologo Michael Taussig la pandemia e il lock-down sono l’occasione per osservare come la diminuzione della presenza e dell’azione umana sul globo abbiano portato a un re-incanto del mondo «con i cigni e delfini che appaiono (così si dice) nell’acqua ora chiara dei canali di Venezia» [Taussig,2020].

Marshall Sahlins, altro esponente dell’antropologia contemporanea[2], in un’intervista enfatizzava la fragilità dell’essere umano e il suo bisogno degli déi, dell’inconsistenza della sua incarnazione nell’homo oeconomicus. Nelle economie pre-moderne gli dei, gli antenati, i demoni e gli spiriti animistici sono presenti negli affari umani come garanti dell’efficacia dell’attività umana infatti «la sola attività umana non è sufficiente a far crescere i raccolti, perché i segreti della crescita stessa appartengono agli dei e non agli umani» [Sahlins, 2021].  Emerge una differenza con la nostra visione della divinità, una divinità principalmente interessata alla nostra salvezza che è lontana, in un altro mondo, ma anche una differenza con la nostra idea di sviluppo: all’interno di quel quadro una persona dedita al profitto illimitato o all’accumulo di beni sarebbe impropria.

Riflettere, confrontarsi, cercare risposte oggi

Come sostiene Elena Gagliasso «l’Antropocene con la sua difficile sostenibilità, oltre ad essere un’era di transizione geologica, è oggi un’epoca storica transnazionale. Vi è una parte della società civile di cui sicuramente i giovani dei movimenti Exinction rebel e Fridays for Future sono i più fervidi rappresentanti che non intende più essere assoggettata all’attuale sistema e che vuole partecipare alla costruzione di una nuova immaginazione di futuro» [Gagliasso, 2020:29]. È richiesto uno sforzo riflessivo in una stretta integrazione tra la ricerca sociale e le scienze naturali insieme alla società civile; è necessario interrogarsi sulle cause, riflettere, confrontarsi, cercare risposte, soluzioni. Parafrasando Remotti, parallelamente alla cultura dell’Antropocene è importante che si stia sviluppando una cultura sull’Antropocene [cfr Remotti, 2021:54].

Anastasia Francaviglia

[1]  Citato da Latouche S. (2007). La scommessa della decrescita, Feltrinelli Editore, Milano, p.179.

[2] Marshall Sahlins è stato un antropologo statunitense di levatura internazionale ed è recentemente scomparso (Chicago, 27 dicembre 1930 – 5 aprile 2021).

Bibliografia

Bateson G. (1984), Mente e Natura, Adelphi Edizioni, Milano.

Bateson G. (1976), Verso un’ecologia della mente, Adelphi Edizioni, Milano.

Bateson G. (1977), Una sacra unità. Altri passi verso un’ecologia della mente, Adelphi Edizioni, Milano.

Gagliasso E. (2020), “Quando lo spazio diventa ambiente. Implicazioni categoriali della crisi ecologica”, in Officine Filosofiche n. 4

Gagliasso E., Campanella S. (2020), “Epistemologie della sotenibilità:ragionamenti e politiche non standard”, in Culture e Studi del Sociale, 5(1)

Latouche S. (2007). La scommessa della decrescita, Feltrinelli Editore, Milano

Yuval N. H. (2021), “Tre lezioni per il futuro”, in Internazionale n.1400 anno 28

Sitografia

Pezzi A., https://www.corriere.it/cultura/20_marzo_30/dopo-coronavirus-ristabilire-rapporto-fiducia-cittadino-scienza-informazione-grazie-filosofia-b4cc3954-7242-11ea-bc49-338bb9c7b205.shtml

Sahlins M. https://www.doppiozero.com/materiali/marshall-sahlins-perche-abbiamo-bisogno-degli-dei

Taussig M. http://www.collettivoepidemia.org/it/uno-sciamano-potrebbe-darci-una-mano-michael-taussig/

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