Polemiche archeologiche: libertà di panorama e beni culturali

 

Immagine di Jean Beaufort, disponibile su publicdomainpictures.net

Così una fotografia della Stazione Centrale o del portone del Duomo o del Pirellone a Milano,
piuttosto che del nuovo edificio dell’Ara Pacis o il nuovo Auditorium di Roma o la chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, o il monumento ai partigiani a Bergamo o quello a Pertini a Milano, o la Stazione di Firenze o il «Colosseo Quadrato» all’Eur, fino alle singole opere come la fontana di Piazza Esedra a Roma…, non possono essere riprodotte in Internet su Wikipedia (né, teoricamente, su alcun sito di qualsiasi tipo) per illustrare «le immagini di tutte le opere architettoniche moderne» presenti sul territorio italiano”.

Questo uno stralcio dell’interrogazione parlamentare n. 4-05031 del 2007. Accorata, preoccupata, problematica, critica. Ma il dato più importante resta un altro. Il 1° ottobre 2007, forse per la prima volta, nel Parlamento italiano si parla della libertà di panorama.

La libertà di panorama indica la possibilità di riprodurre e, a certe condizioni, distribuire e commercializzare modelli, fotografie, filmati ritraenti edifici, panorami, monumenti ed opere d’arte. Da questa premessa emerge un dato fondamentale: la possibilità che l’opera sia già protetta dalle norme sul diritto d’autore. In un articolo precedente [http://antrodichirone.com/index.php/2016/06/27/creative-commons-arte-gratuita-con-un-click/] abbiamo accennato alla protezione che l’ordinamento italiano accorda alle opere dell’ingegno fino a 70 anni dalla morte dell’autore. Sebbene le vicende dei due settori siano strettamente intrecciate, lasceremo dunque da parte le opere protette.
Ci concentreremo invece su quelle opere che presentano un’altra caratteristica: quella di appartenere alla categoria dei beni culturali.
Queste opere, per la loro collocazione in luoghi pubblici o aperti al pubblico e per il richiamo che esercitano, sono i soggetti più esposti alla riproduzione e diffusione da parte di privati.

Dando uno sguardo alla normativa, si può citare come precursore il caso del Regno Unito. Al 1988 risale infatti il Copyright, Designs and Patents Act, che permette la riproduzione fotografica di opere e beni immobili installati in luogo pubblico. Un esempio di lungimiranza: nel 1988 esistevano già la fotografia semiprofessionale e le polaroid, oltre alle telecamere VHS e ai computer domestici, ma i mezzi di diffusione e commercializzazione non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quelli odierni.

Al 2001 risale invece la direttiva n. 29 dell’allora Comunità Europea, la quale ha apportato, sia pure come obiettivo, innovazioni rilevanti.
L’art. 2 della direttiva 2001/29/CE impone anzitutto agli Stati membri di riconoscere “il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte” delle opere, a seconda dei casi, ad autori, interpreti, produttori.
L’art. 5, par. 1, impone a sua volta la liberalizzazione de “gli atti di riproduzione temporanea di cui all’art. 2 privi di rilievo economico proprio che sono transitori o accessori, e parte integrante e essenziale di un procedimento tecnologico, eseguiti all’unico scopo di consentire: a) la trasmissione in rete tra terzi con l’intervento di un intermediario o b) un utilizzo legittimo di un’opera o di altri materiali”. Al par. 2 si permette agli Stati di operare un’ulteriore liberalizzazione per le riproduzioni senza scopo di lucro o istituzionali, purché si rilasci un equo compenso agli autori o titolari dei diritti. Altra liberalizzazione è permessa al par. 3 per la distribuzione o comunicazione al pubblico delle opere, ove lo scopo di tali attività sia illustrativo, didattico, di ricerca, a favore di categorie a rischio, per motivazioni religiose e in altri casi, purché se ne indichi la fonte. Il par. 4 concede la possibilità di liberalizzazione anche in relazione alla distribuzione a titolo oneroso, purché “nella misura giustificata dallo scopo della riproduzione permessa”.
Per attuare questi princìpi, però, era necessario che gli Stati emanassero discipline interne di dettaglio.

Pochi anni dopo viene emanato il D.Lgs. n. 42 del 2004 (cd. Codice dei Beni Culturali).

Il Codice è figlio del suo tempo: delega ai singoli enti la cura dei beni che si trovano nella loro disponibilità.
L’art. 107 dispone che “Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 [divieto di trarre calchi degli originali delle opere per contatto allo scopo di riprodurle, n.d.A.] e quelle in materia di diritto d’autore“.
A sua volta, l’art. 108, comma primo, stabilisce che “I canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono determinati dall’autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto: a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’uso; b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni; c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni; d) dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente“. Canoni che, specifica il comma secondo, sono da versarsi anticipatamente.
I commi terzo e terzo-bis liberalizzano “le riproduzioni richieste da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro”, col solo obbligo di rimborso all’Amministrazione per le spese, e le riproduzioni e divulgazioni senza scopo di lucro a fini si studio, ricerca, creatività di beni culturali non bibliografici o archivistici.

Questione a parte è quella dei beni di interesse religioso. L’art. 9 del Codice rinvia la disciplina di questo (non secondario) settore agli accordi fra enti statali e religiosi, cioè alle cd. “Intese”. Per quanto riguarda i beni di interesse religioso cattolico, viene allora in gioco la normativa canonica.
I riferimenti canonici fondamentali sono le Norme per la tutela e la conservazione del patrimonio storico-artistico della Chiesa in Italia, le Norme relative al prestito di opere d’arte di proprietà di Enti ecclesiastici, gli Orientamenti del 1992.
L’art. 4 degli Orientamenti prevede che “Nella diocesi il compito di coordinare, disciplinare e promuovere quanto attiene ai beni culturali ecclesiastici spetta al Vescovo che, a tale scopo, si avvale della collaborazione della Commissione diocesana per l’arte sacra e i beni culturali e di un apposito Ufficio presso la Curia diocesana“.
Attualmente, pressoché ciascun ente diocesano dispone di un proprio regime di autorizzazione consultabile attraverso il proprio sito ufficiale.

La disciplina di dettaglio è dunque delegata in massima parte ad enti locali, con potenziali problemi all’impatto con l’utente privato e con la diffusione delle riproduzioni.
La frammentarietà del regime autorizzativo e la mancanza di un’informazione adeguata obbligano, de facto, l’utente/diffusore a cercare preventivamente l’autorità a cui rivolgersi per le autorizzazioni, a compilare una richiesta, a versare l’eventuale canone e successivamente riprodurre e diffondere il bene secondo le modalità permesse. Ne emerge un carattere farraginoso, non adeguato ai tempi e in definitiva ostativo di tale procedura.

Qualche problema, del resto, si è verificato poco dopo l’emanazione del Codice, e l’interrogazione parlamentare citata all’inizio non è stata proposta senza motivo. Il caso è quello di Wikimedia Commons del 2007.
Wikimedia Commons è una libreria di immagini gratuite, fra le quali figuravano anche opere di architettura e scultura italiane, protette dal diritto d’autore o inquadrate fra i beni culturali. Venuta a conoscenza del fatto, l’allora Soprintendenza del Polo Museale Fiorentino inviò una diffida e, prima ancora che fossero adite le vie legali, Wikimedia ha rimosso le immagini incriminate. La notizia, riportata dalla testata aprileonline.info, ha poi lanciato l’allarme che ha portato all’interrogazione parlamentare.
L’Italia non è stata l’unico né l’ultimo Paese in cui si sia verificato un Caso Wikimedia. Nel 2012, la coppia di scultori olandesi Oldenburg e Van Bruggen ha diffidato Wikimedia per violazione di copyright, con conseguente rimozione delle immagini.

Stante l’attuale assenza di una normativa specifica uniforme e con problemi che si ripresentano nelle stesse forme a cadenza quasi annuale, si deve rilevare l’incapacità di individuare un modello generalizzato e adeguato ai moderni mezzi di comunicazione. Ed è chiaro a questo punto che la situazione necessita di un intervento normativo europeo di dettaglio (dunque cogente).
Non è un caso, per finire, che la Commissione Europea abbia lanciato una campagna di consultazione pubblica, terminata il 15 giugno 2016. Se ne attendono i risultati.

Michelangelo Scalmichelangeloscalii

Info

 

 

Bibliografia

AA. VV. (2015), Extending Freedom of Panorama in Europe, in academia.edu

Faggioni, L., S., (2011). La libertà di panorama in Italia, in Il Diritto industriale, in Bimestrale di dottrina e giurisprudenza sulle creazioni intellettuali e sulla concorrenza, anno 2011, fasc. 6

Mastrolilli, F., (2014). Sulla creatività delle riproduzioni dei beni archeologici. Nota a Corte di Cassazione, sentenza 23 aprile 2013, n. 9757. In Rivista di diritto industriale, anno 2014, n. 3

Sitografia

Cavagna, Gilberto (2016). Libertà di panorama: aperta la consultazione pubblica UE. Visibile in rete all’indirizzo

Libertà di panorama: aperta la consultazione pubblica UE

Commissione Europea. Pagina ufficiale della campagna di consultazione pubblica 2016 sula libertà di panorama.
https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/public-consultation-role-publishers-copyright-value-chain-and-panorama-exception

Spinelli, Luca (2008). Libertà di panorama. C’è ma non c’è. Visibile in rete all’indirizzo

Libertà di panorama: c’è ma non c’è

Spinelli, Luca (2007). Wikipedia cede al diritto d’autore. In Aprile online. Visibile in rete all’indirizzo
http://web.archive.org/web/20080416164104/http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=3868

Tremolada, Luca (2015). La libertà di panorama è salva. In Il sole 24 ore. Visibile in rete all’indirizzo
http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2015-07-22/la-liberta-panorama-e-salva–105413.shtml?uuid=ACJMXMR

4 Replies to “Polemiche archeologiche: libertà di panorama e beni culturali”

    1. Grazie! Se interessa, ecco i primi risultati della consultazione, pubblicati il 14 settembre u.s. all’indirizzo (https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/synopsis-reports-and-contributions-public-consultation-role-publishers-copyright-value-chain).
      Fra le varie voci più interessanti, tutte scaricabili in .pdf, abbiamo sia un sunto delle risposte in generale che i nominativi di alcuni degli intervistati, nonché le risposte fornite direttamente dal nostro Governo.
      Per le azioni di dettaglio sulla libertà di panorama occorrerà attendere, ma questi sono già passi da gigante. Buona lettura!

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