Anders Breivik e l’isolamento: tra giusta pena e trattamento inumano

 

Immagine realizzata da TryJimmy, disponibile su www.pixabay.com

Anders Breivik, l’autore del massacro di Utøya, continua a far parlare di sè. Questa volta in occasione dell’azione civile di risarcimento danni promossa contro il governo Norvegese, a causa delle lamentate condizioni del regime di detenzione in isolamento a cui è sottoposto da cinque anni. Il 20 aprile 2016 il giudice H. A. Sekulic ha deliberato a favore di Breivik ritenendo che le modalità dell’isolamento, in relazione anche alla durata, fossero in violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo (in seguito CEDU): norma che dispone il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti. E’ semplice constatare come la notizia abbia estremamente polarizzato le opinioni del pubblico: alcuni difendono a spada tratta la sentenza, mentre altri la ritengono non solo inopportuna, ma un vero e proprio affronto alle famiglie delle vittime. Lo sdegno di parte della pubblica opinione è giustificabile?

Per valutare correttamente la notizia sembra doveroso approfondire la natura dell’oggetto della questione: il regime di detenzione in cella d’isolamento. Nel nostro paese l’isolamento è disciplinato dall’art. 33 l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) che prevede tre tassative e ben delineate ipotesi in cui è ammesso l’isolamento continuo del detenuto, con una quarta ipotesi di stampo ‘emergenziale’ introdotta nel 1986 all’art. 41-bis, il famigerato ‘carcere duro’. Tale tassatività è stata giustamente considerata essenziale dal legislatore per evitare situazioni di arbitrio dell’attività giudiziaria che possono scaturire in presenza di disposizioni di natura più aperta. A seconda del paese le modalità di esecuzione dell’isolamento possono risultare molto diverse, ma solitamente per regime d’isolamento si intendono tutte quelle situazioni in cui il detenuto è costretto a passare dalle 22 alle 24 ore nella propria cella senza possibilità di contatto con gli altri detenuti. A prescindere dalle concrete modalità di esecuzione, è indubbio che il regime d’isolamento costituisce la forma più estrema di privazione della libertà che un cittadino possa subire a seguito di una condanna, o durante un’indagine, come misura cautelare. L’isolamento, inteso quindi come esclusione totale dalla vita di comunità della prigione, comporta per sua natura inevitabilmente dei problemi per la salute del detenuto; problemi ormai ampiamente riconosciuti dalla comunità scientifica. Sono numerosi i reports del CPT (Commissione europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti) e delle Nazioni Unite che confermano i gravi danni psicologici che l’isolamento prolungato può causare ai detenuti, sottolineando che in alcuni casi possono arrivare a soffrire di vere e proprie tendenze suicide. E’ stato inoltre dimostrato che periodi prolungati d’isolamento possono influire negativamente sulla capacità di reinserimento del detenuto nella società. Per questi motivi il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite raccomanda l’utilizzo dell’isolamento come regime detentivo solamente in casi di assoluta necessità e per il più breve tempo possibile. Considerati gli effetti estremamente dannosi che possono derivare dal regime d’isolamento, appare chiara l’esigenza di porre dei limiti severi e ben delineati ad una pratica che è per sua natura pericolosa per la salute del detenuto e che così facilmente può sfociare in trattamenti disumani o degradanti in violazione dei diritti fondamentali dell’uomo, che poco hanno a che fare con la giustizia.

In Europa il rispetto dei diritti umani fondamentali viene garantito dalla presenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Ed è proprio la giurisprudenza della Corte che nel tempo ha offerto i maggiori spunti di riflessione sul regime d’isolamento e le problematiche relative alla violazione dell’art. 3 CEDU. Alcuni dei più famosi casi sottoposti all’attenzione della Corte possono aiutare a comprendere quanto il confine tra isolamento legittimo e trattamento inumano possa essere facile da oltrepassare. Il primo caso è il tristemente noto ‘Ilascu e altri c. Moldova e Russia’, la vicenda di un dissidente politico, oggi membro del parlamento Romeno, che fu condannato a morte e mantenuto in regime d’isolamento per otto anni prima di essere però rilasciato nel 2001. Ilascu fu obbligato a passare per otto anni la quasi totalità del suo tempo in una cella senza riscaldamento e senza alcun accesso a fonti di luce naturale e possibilità di contatti col mondo esterno. Il detenuto era inoltre spesso privato del cibo e gli era permesso di lavarsi soltanto ad intervalli di mesi. La Corte ordinò il rilascio dei detenuti ed il risarcimento danni a favore di Ilascu ed altri come compensazione per il trattamento inumano sofferto durante la detenzione. Un altro caso, di uguale durata, è quello di ‘Ramirez Sanchez c. Francia’, condannato per atti di terrorismo e posto in regime d’isolamento per circa otto anni. Nel caso di specie la Corte non ritenne che il regime detentivo violasse l’art. 3 CEDU nonostante la sua lunga durata, in quanto il sig. Ramirez ebbe comunque modo di appagare il proprio bisogno di contatto umano grazie alle costanti visite della moglie (640 visite nel corso di quattro anni) e dei propri avvocati. Il detenuto era inoltre sottoposto a controlli medici almeno due volte a settimana. E’ facile notare le differenze di trattamento ed i motivi per cui la Corte ritenne il primo caso in violazione dell’art. 3 e non il secondo, nonostante la durata e e la severità dell’isolamento fossero gli stessi in ambo i casi.

Arrivando al caso Breivik, bisogna notare che la testimonianza è molto dettagliata e lascia poco spazio all’immaginazione. Breivik esprime la grande frustrazione derivante dall’essere ammanettato ogni qualvolta dovesse uscire dalla cella (nella testimonianza indica il numero totale di 2300 volte in cinque anni), tanto che smise del tutto di uscire per evitare lo stress della routine messa in atto dal personale penitenziario. Lamenta inoltre controlli costanti delle guardie anche durante la notte, ed ispezioni corporali quotidiane anche da parte di personale di sesso femminile. A questo si aggiunge la dichiarata impossibilità di esercizio fisico all’aperto e la mancanza di fonti di luce naturale nella propria cella. Da quanto traspare dalla sentenza del 20 aprile sembra che le procedure messe in atto quotidianamente dagli agenti esulassero dalle normali procedure disciplinate dall’ordinamento penitenziario norvegese, ed in quanto tali sproporzionate e non giustificabili. Questo è probabilmente il motivo per cui la giudice H. A. Sekulic ha deciso a favore del condannato. Al di la del merito della decisione, una cosa è certa: il pericolo costante di danni alla salute psicofisica del detenuto è sempre presente in qualsiasi tipo di isolamento, anche per il più sofisticato ed attento alle necessità della persona. Il caso Breivik indubbiamente suscita perplessità, dovute proprio alla personalità del soggetto, che vanno poste da parte nel momento in cui un giudice – soggetto alla legge – deve soppesare tutti gli elementi della fattispecie posta alla propria attenzione, così da individuare eventuali spunti di ingiustizia, a prescindere dal delitto commesso dal soggetto coinvolto. Sapendo che Anders Breivik probabilmente rimarrà in carcere per il resto della propria vita, sembra plausibile che il giudice possa aver ritenuto sproporzionati e non necessari alcuni comportamenti del personale penitenziario, che potrebbero effettivamente comportare dei danni alla salute psicologica di un soggetto che dovrebbe in un futuro prossimo essere comunque re-introdotto nella comunità carceraria. Si ricordi infatti che l’isolamento non può mai avere durata indeterminata.

La sanzione penale non può e non deve rispondere a soggettive valutazioni della devianza penale o delle qualità della persona giudicata; ed è proprio in casi come questo, che così facilmente si prestano ad apprezzamenti superficiali, che bisogna essere ancora più vigili e garantire il rispetto del principio di legalità e delle garanzie contro l’arbitrio dei poteri giudiziari. Infliggere sofferenze sproporzionate (perché non necessarie ed anzi inutilmente dannose), e come tali in violazione dei principi fondamentali dell’uomo, non è giustizia, che in quanto tale dovrebbe sempre tendere alla minor sofferenza possibile per il condannato. Non bisogna infine dimenticare che la pena inflitta al condannato è sempre e solo la privazione della libertà, e mai la privazione della dignità e dei diritti fondamentali dell’essere umano, soprattutto in quegli ordinamenti giuridici, come anche il nostro, per i quali la rieducazione del detenuto è un principio costituzionale. Il divieto di infliggere trattamenti inumani e degradanti rappresenta un valore fondamentale della società democratica, e come tale deve necessariamente applicarsi a prescindere dal soggetto – anche nel caso di serial killers e terroristi.

mattero navacci

Matteo Navacci

Info

 

 

 

Sitografia

Sentenza 20 Aprile 2016 (Anders Breivik v. Det kongelige Justis- og beredskapsdepartementet):  http://www.dagbladet.no/f/domisakenomsoningsforhold15107496tviotirabbstaten.pdf

Report NHRI: http://solitaryconfinement.org/uploads/NHRI_Norway_Thematic_report_on_solitary_confinement.pdf

Report CTP: http://www.cpt.coe.int/en/annual/rep-21.pdf

Sourcebook on solitary confinement, Shalev, S. (2008):  http://solitaryconfinement.org/uploads/sourcebook_web.pdf

Convenzione Europea dei diritti dell’uomo: http://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf

Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti: https://www.unhcr.it/sites/53a161110b80eeaac7000002/assets/53a164260b80eeaac7000134/Convenzione_contro_la_Tortura.pdf

L. 26 luglio 1975, n. 354. Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà: http://presidenza.governo.it/USRI/ufficio_studi/normativa/L.%2026%20luglio%201975,%20n.%20354.pd

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