L’istinto materno non esiste

 

Tutti ricorderanno il contestatissimo Fertilityday, l’hashtag che aleggiava il 22 settembre 2016 (e i giorni successivi) su tutto il web. Una giornata in cui venne presentato il piano promosso dal Ministero della Salute al grido di “Difendi la tua fertilità, prepara una culla nel tuo futuro” e “scoprire il Prestigio della Maternità”. (Ministero della Salute, 2016). La principale critica alle immagini e in generale all’idea di fondo della campagna era legata ad una visione della donna ancora confinata al suo ruolo di moglie, ma soprattutto di madre. In effetti, ancora oggi, siamo restii a pensare ad una donna che non voglia avere figli. Preferiamo pensare che siano i problemi economici, la non sicurezza sul lavoro, e la disparità di salario ad influenzare la scelta, come se i motivi per cui non si fanno figli siano da relegare solo a questioni esterne. Ovviamente tutti questi fattori concorrono alla decisione di posticipare il momento del ‘mettere su famiglia’, ma siamo davvero sicuri che la massima aspirazione di una donna sia avere dei figli? C’è chi risponderebbe che si, prima o poi l’istinto materno si farà sentire.

Ma di preciso, cos’è questo istinto materno?

Quando questa domanda viene posta alla gente comune, in pochi danno una definizione del termine, ma tutti concordano sul fatto che le donne sono “naturalmente predisposte” ad accudire i cuccioli, dopotutto anche in natura funziona così. Se però questa domanda viene posta ad esperti, siano essi psicologi, piuttosto che antropologi, la risposta che viene data è spiazzante: l’istinto materno non esiste.

È una costruzione socio-culturale. E vi è un motivo per cui è nata. C’è un’origine e no, non è così ancestrale. È molto più recente di quanto si creda, visto che la data può essere collocata nel 1762, anno della pubblicazione dell’ “Emilio” di Jean-Jacques Rousseau. Prima di allora, i figli raramente erano cresciuti dalle madri, e anzi molto più spesso erano lasciati o abbandonati alle balie, il cui compito era non solo di sfamarli, ma anche di accudirli ed educarli: insomma, quelli che oggi sono i pilastri dell’istinto materno, un tempo non erano minimamente considerati, e nessuno vedeva qualcosa di innaturale in tutto ciò (cfr. Marchi, 2015).

È necessario fare una distinzione tra istinto alla procreazione e istinto materno. Se per il primo le basi fisiologiche sono più che conosciute e discusse, per il secondo, ancora oggi, non se ne conoscono (cfr. Eretica, 2014). Diverse ricerche hanno infatti dimostrato che la sola presenza di cuccioli in una stanza promuoveva un attaccamento tra madre-ratto e cucciolo-ratto. Questo legame così importante e necessario per la sopravvivenza del piccolo roditore è mediato da ormoni come l’ossitocina e la vasopressina. Ciò che è importante notare però, è che questo tipo di legame veniva a crearsi anche nel caso in cui i cuccioli non erano stati partoriti dalla madre che adesso se ne prendeva cura (cfr. Pizzorusso, Berardi, 2006). Insomma, la sola presenza di cuccioli nella gabbia poteva innescare nell’adulto la produzione degli ormoni necessari all’accudimento.

I costrutti sociali che vengono pensati come ‘naturali’ sono in effetti molti di più di quanto si creda. Spesso tendiamo a non pensarli come socialmente costruiti soltanto perché il senso comune li ha radicati così profondamente da non necessitare di una ulteriore legittimazione (cfr. Berger, Luckmann e Innocenti, 1969). Questa convinzione radicata ha però delle conseguenze importanti sul piano psicologico e fisico di una donna. Per fare un esempio, una diagnosi di infertilità potrebbe portare una donna a considerarsi meno completa rispetto alle altre che la circondano. In realtà, a screditare questa visione di incompletezza, ci pensano diverse ricerche che hanno dimostrato quanto sia importante in una famiglia instaurare una relazione di tipo triadico tra bambino, madre e padre, poiché anche quest’ultimo può tranquillamente riuscire a costruire un legame di attaccamento con il bambino, nonostante spesso questa figura sia relegata al ruolo di “terzo”.

In effetti, il fatto che si possa pensare che una madre capisca più facilmente o comunque più velocemente di cosa il bambino abbia bisogno, molto spesso dipende da fattori come il tempo passato insieme al neonato e all’attenzione posta alle sue richieste piuttosto che ad una ‘capacità innata’ legata all’appartenenza al sesso femminile (cfr. Simonelli, 2014). In questa visione alternativa della maternità, anche la presenza di donne pentite di aver avuto figli potrebbe trovare terreno fertile. Fintanto che si considera l’istinto materno un percorso naturale del “gentil sesso”, è molto difficile poter pensare a donne che si pentono di non aver abortito o in generale di avere avuto figli. In realtà moltissime sono le testimonianze di coloro che hanno deciso di tenere un bambino nonostante non fossero convinte della scelta. Sia stato per pressione sociale, di medici o amici, questa donne si sono ritrovate con un figlio poiché persone esterne giudicavano una diversa scelta come abominevole. Frasi del tipo ‘un figlio è la soddisfazione più che grande che una madre possa avere e di cui nessuno può pentirsi’ ricordano loro ogni giorno che la loro scelta è una scelta giusta, ma che questa non è stata compiuta da loro. Donne che allattano forzatamente, donne che rinunciano alla carriera e che vedono nel loro bambino una minaccia per la realizzazione personale sono all’ordine del giorno, eppure è sempre molto difficile poter pensare che si possa arrivare a rinnegare un figlio. L’assenza di amore per un bambino è avvertita come una colpa grave e intollerabile e il solo pensiero fa credere alle donne di essere egoiste e cattive madri (cfr. Belotti, 1982).

Ancora, spesso molte donne si trovano ad essere abbandonate dal resto della loro rete sociale dopo il momento del parto. La maternità prevede sì un congedo dal lavoro, ma il supporto così attento e costante durante tutti i 9 mesi del parto viene improvvisamente a mancare. Partner che lavorano e che tornano a casa tardi, amici che danno per scontato che la neomamma voglia passare tutto il suo tempo libero con il nuovo arrivato, e di conseguenza donne sole con bambini che si trovano catapultate a prendersi cura di un’altra persona senza aver ricevuto istruzioni su come fare. Esistono una serie di corsi pre-parto, di respirazione, di massaggi che tengono impegnate le donne incinte nei mesi precedenti, ma nessuno di questi è diretto ad una continuazione nel post-partum. A nessuna viene insegnato come allattare o come provvedere ai bisogni costanti di un bambino o, per dirla in termini psicologici, come creare un buon attaccamento con il figlio.

Le famiglie numerose, o contesti in cui altre persone possono insegnare alle neomamme come gestire la prole sono molto rari e spesso ci si trova catapultati in situazioni completamente nuove senza alcuna esperienza e al massimo, consigli da parte di chi ci è già passato (cfr. Camussi, 2010).

Uno dei fattori principali che fin dall’infanzia concorre alla creazione dell’idea di istinto materno è senz’altro la presenza costante di giochi, pubblicità, commenti e libri che vengono proposti alle bambine e che le mettono in contatto con un unico mondo: quello dell’accudimento del prossimo, meglio se baby. Commenti come ‘entra in azione’ e parole quali “astuzia” e “forza” sono relegati a pubblicità indirizzate ad un pubblico maschile, mentre i vezzeggiativi, oltre che ‘torte, cucine e bambole’ sono da indirizzarsi a bambine. Ovviamente, alla base di tutto vi è sempre un’immagine del femminile in accordo con lo stereotipo del piacere, dell’ammiccamento sottile e dell’apparire al meglio per essere ‘sessualmente appetibili’ (come mostrato in questo video).

Il mondo della donna amorevole non è presente in quanto caratteristica innata del sesso femminile, ma viene ad essere costruito e costantemente confermato dall’esterno, spingendo bambine e giovani donne ad immedesimarsi sempre di più in questi stereotipi. Ciò che è stato detto finora vale esattamente allo stesso modo per gli uomini. Gentilezza e sensibilità vengono più raramente esplicitate e rinforzate nei maschi provocando una visione del mondo femminile come più rosea e delicata rispetto alla controparte maschile (Belotti, 1982).

In conclusione, sembra che, ad influenzare il nostro modo di considerare i ruoli di genere e la loro funzione all’interno di una società complessa e sfaccettata come la nostra, siano molti dei nostri comportamenti. Tali condotte sono la conseguenza di pressioni, stereotipi e convenzioni sociali, a loro volta frutto di condizionamenti culturali e sociali di cui poco conosciamo e che tendiamo ad assimilare, dandone per scontato le cause in nome di una naturalezza che di naturale sembra avere ben poco.

Olivia Bruni

Info

 

 

 

Bibliografia

Ministero della Salute, Piano Nazionale per la Fertilità, 2016

Berardi, N. e Pizzorusso, T., Psicobiologia dello sviluppo, Laterza Editore, 2006.

Berger, P. L., Luckmann, T., e Innocenti, M. S., La realtà come costruzione sociale, Bologna, Il mulino, 1969

Simonelli, A., La funzione genitoriale: sviluppo e psicopatologia, Cortina, 2014

Belotti, E. G., Dalla parte delle bambine: l’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita, Feltrinelli Editore, 1982

Camussi, E., L’uomo che non c’era: un’analisi delle produzioni discorsive sulla solitudine delle madri, Psicologia di Comunità, 2012

Sitografia

Marchi, S., 2015 http://www.serenamarchi.it/2015/04/06/istintomaterno/

Eretica, 4 Luglio 2014 https://abbattoimuri.wordpress.com/2014/07/04/listinto-materno-non-esiste/

Eretica, 2 Febbraio 2015  https://abbattoimuri.wordpress.com/2015/02/02/ho-un-figlio-sono-pentita-di-non-aver-abortito/

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