L’educazione contesa: quali saranno le conseguenze?


Dal 31 ottobre 2018 sono iniziate le audizioni al Senato della Repubblica per la ridefinizione dei profili e degli ambiti occupazionali delle figure di educatori e di pedagogisti.

Qual è la situazione dopo l’approvazione della legge 205/2017?

Dopo l’approvazione della legge 205/2017, dal Senato arriva una notizia che farà reagire molti: a livello politico si propongono cambiamenti in cui si chiede di estendere gli interventi degli educatori socio-pedagogici e del pedagogista anche nei servizi socio-sanitari e della salute. Tra le diverse modifiche però proposte, questa sull’ampliamento degli ambiti di lavoro, è quella che necessita di una risoluzione immediata poiché attesa dalle Asl, dagli Enti Locali e dalle cooperative che erogano le attività educative.

Nonostante la legge di Bilancio abbia definito il profilo giuridico dell’educatore e del pedagogista – riconoscendone al comma 594 gli ambiti specifici di intervento (i servizi e i presidi socio-educativi e socio-assistenziali) – ciò ha tuttavia limitato l’accesso al settore sanitario eliminando di fatto la possibilità di accedervi per i laureati della classe di L19, ai laureati in SDE vecchio ordinamento e, probabilmente, a tutti coloro che conseguiranno la qualifica attraverso i 60 crediti.

Il disguido è sorto quando la legge di Bilancio non ha recepito il testo integrale proposto originariamente (S.4223) e approvato dalla Camera dei Deputati il 21 giugno 2016, che disciplinava nei minimi dettagli le funzioni dell’area pedagogica, includendo l’educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista negli ambiti socio-sanitario e della salute, in riferimento agli aspetti socio-educativi. Questo processo ha consolidato per certi aspetti, la frammentazione del lavoro nel terzo settore a svantaggio non solo degli utenti più fragili, ma anche degli educatori socio-pedagogici già impegnati nel sociale e nel sanitario.

Qual è l’ostacolo principale?

L’antagonista nella questione è il decreto D.M. S. 8 ottobre 1998, n. 520 con il quale viene stabilita una “corsia preferenziale” per accedere alle selezioni di lavoro che privilegiano l’accesso al titolo L/SNT2 poiché inserito nelle Lauree della riabilitazione medica. Esclusivamente per questi educatori sanitari è prevista infatti l’iscrizione all’Albo delle professioni sanitarie. É chiaro che, senza l’iscrizione all’albo sanitario, gli educatori sociali di area pedagogica come anche i pedagogisti, rischiano di essere esclusi da molte aree di intervento del welfare. Questo decreto, all’articolo 1, individua competenze sovrapponibili all’area pedagogica, oltre ad impedire di fatto l’accesso degli educatori socio-pedagogici all’area sanitaria.

Probabilmente in modo equivoco si deduce che il tecnico riabilitativo laureato nella Facoltà di Medicina, definito per consuetudine educatore sanitario, è una figura lavorativa che svolge anche attività pedagogiche. Si legge infatti che: «attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’equipe multidisciplinare». Effettivamente ci troviamo davanti ad una situazione legislativa tipicamente italiana: incongruenza tra leggi già esistenti che, senza considerare quello che già era stato approvato, prendono direzioni diverse e perfino contrapposte.

Gli educatori socio-pedagogici lavorano da anni in sanità.

Dall’indagine conoscitiva presentata al Senato emerge una situazione abbastanza esplicativa: gli educatori socio-pedagogici ed i pedagogisti lavorano da svariati anni nell’area sanitaria, ricoprendo posti educativi importanti. Ma, davanti alla minaccia di essere esclusi dal lavoro a causa di una regolamentazione imprecisa, essi lascerebbero migliaia di utenti con bisogni educativi speciali privi di assistenza educativa. Come è possibile quindi cancellare retroattivamente competenze già acquisite con esami universitari svolti regolarmente? Perché togliere a professionisti dell’extrascuola la legalità della loro preparazione accademica? E ancora: le competenze educative/pedagogiche perché non possono sinergicamente convivere con quelle mediche attraverso la possibilità di creare un profilo ben integrato di educatore professionale? Se ripercorriamo la storia della facoltà di Pedagogia, l’intreccio delle funzioni educative con i presidi medici ha in realtà una storia molto antica e risale al Corso di laurea in Pedagogia del vecchio ordinamento.

Originariamente, prima della riforma universitaria 2001-2002, nel magistero di Pedagogia era già incluso il “profilo di educatore professionale” che, tra l’altro, formava un «operatore presso strutture pubbliche e private o istituzioni territoriali che forniscano prestazioni professionali e di consulenza istituzionale, con particolare riguardo alle attività di sostegno nel sociale (centri per i problemi dell’educazione o di servizi culturali presso gli Enti locali, Unità socio-psico-pedagogiche delle A.S.L. e dei distretti, centri di servizio per assistenza e terapie domiciliari, osservatori per i problemi della marginalità e dei soggetti a rischio); a supporto dei servizi scolastici, specie nella elaborazione e predisposizione d’interventi individualizzati, indirizzati a soggetti che presentino particolari esigenze nei processi di apprendimento».

Fin dalla nascita della figura del Pedagogista e dell’Educatore molti sono i decreti normativi e le leggi che hanno consolidato e legittimato il lavoro in ambito sanitario. Tra questi, nell’audizione del 13 novembre 2018, è stato citato anche il DECRETO 16 marzo 2007 del MIUR in merito alla “Determinazione delle classi di lauree universitarie”, il quale riporta specificatamente la dicitura “servizi socio-sanitari” per gli ambiti di lavoro dell’educatore per riaffermare non una semplice consuetudine, ma uno storico concreto.

Quando nascono le prime forme di cooperazione con i servizi socio-sanitari?

È stato Loris Malaguzzi, ideatore del “Reggio Emilia Approach” – un tipo di approccio pedagogico per la scuola dell’infanzia applicato in tutto il mondo – ad ottenere le prime collaborazioni sinergiche con i servizi socio-sanitari. Laureatosi in Pedagogia nel 1946 e, dopo aver rinunciato alla carriera accademica, nel giugno 1951 fu nominato direttore del Centro Medico Psicopedagogico del Comune di Reggio Emilia, incarico che occupò fino al 1966. Fu proprio Malaguzzi ad occuparsi per la prima volta di bambini disabili nelle sue Case di Vacanze, proponendo persino la compilazione di un “profilo dinamico-funzionale” per ciascuno anticipando il modello e l’approccio alla persona in relazione all’ambiente socio-familiare stabilito dall’OMS nel 1980.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha infatti elaborato uno strumento di classificazione (ICF) – utilizzato anche in ambito socio-pedagogico per elaborare progetti individualizzati – che descrive e valuta le condizioni e le strutture fisiche (malattia o disturbo) in stretta correlazione con le attività personali (capacità e performance) e con la partecipazione sociale. In sintesi si comprendono, nell’intervento sulla persona, anche i percorsi di esperienza educativa nell’ambiente familiare e sociale. In questa direzione si ri-propone oggi, un approccio di intervento sull’individuo che va considerato in tutti gli aspetti della sua personalità e affrontato di conseguenza con la sinergia di tutte le scienze umane e mediche (Ianes D., 2004).

Una legge diventa l’aiutante per la tutela del lavoro educativo?

L’approvazione della legge 205/2017 è stata un primo passo importante verso la tutela del lavoro educativo. Ciò rappresenta la condizione fondamentale per la tutela dei diritti contributivi e contrattuali sulla base della quale anche le organizzazioni sindacali possono finalmente muoversi per ottenere vantaggi.

Come è stato affermato nell’audizione, prima di ogni altra cosa, la legge ha definito un titolo accademico e un percorso di studi complesso e articolato che determina una professione con competenze ben precise. Inoltre, fare educazione e attuare una relazione educativa non può essere un processo lasciato al caso. Il verbo latino educĕre è inteso come il «trarre o condurre fuori», estrarre quelle potenzialità e quelle abilità che accompagnano il processo di sviluppo dell’uomo in tutte le dimensioni dell’identità (cognitiva, emotiva, socio-relazionale, senso-motoria). Ciò implica uno studio multidisciplinare, organizzato e sistematico che non può prescindere dalla tradizione filosofica-umanistica da cui la stessa Pedagogia è nata. Nell’audizione al Senato se ne ribadisce il carattere peculiare. Il fare educativo è l’insieme di competenze scientifiche, di preparazione accademica, di cura e di rigore metodologico.

E i sindacati?

La legge 205/2017 ha permesso di regolarizzare e riordinare le svariate tipologie di titoli attribuiti al lavoro educativo oltre che dare dignità contrattuale e retributiva a migliaia di educatori senza qualifica. Nel corso degli anni, Regioni, Comuni ed Enti Locali hanno attuato una continua tendenza ad erogare corsi di varie tipologie per far fronte alla domanda di lavoro nel settore sociale. Le indagini, svolte a diretto contatto con i lavoratori del sistema cooperativo, hanno messo in luce condizioni di estrema difficoltà anche per quanto riguarda la situazione di lavoro degli educatori.

Molte le criticità e diverse le posizioni messe in evidenza dalla CGIL, CISL E UIL che propongono delle soluzioni senza perdere di vista l’importanza delle tutele contrattuali e assistenziali. Le istanze più urgenti riguardano:

  • paga oraria misera;
  • lavoro notturno non riconosciuto;
  • rimborso chilometrico assente;
  • assenza di continuità di lavoro e di salari per i 12 mesi dell’anno;
  • notti passive.

Queste sono solo alcune delle criticità che devono essere superate per raggiungere un’omogeneità di fondo al fine di stabilire un contratto unico per la categoria, il “migliore dei contratti esistenti ovvero quello del pubblico impiego”. Non dimentichiamo infatti che gli educatori del sociale costituiscono i veri “prigionieri politici” di questa partita giocata al ribasso sulla loro “pelle”.

Angela Pellino

info

 

 

 

Bibliografia

Ianes D. (2004), La diagnosi funzionale secondo l’ICF. Il modello OMS, le aree e gli strumenti, Edizioni Erickson, Trento.

Planillo A. H., (2004), Loris Malaguzzi, bibliografia pedagogica, Edizioni Junior, Azzano San Paolo.

Sitografia

www.vita.it/it/article/2018/09/27/caos-educatori-ripartiamo-dalla-figura-professionale-unica/149164/

http://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2007/07/06/155/so/153/sg/pdf

https://parlamento17.openpolis.it/atto/documento/id/245587segr-did2.fmag.unict.it/Magistero/BACHECA/v_ord.htm
webtv.senato.it/4621?video_evento=517

A.Romano, Risvolti professionali nell’iter della Proposta di Legge Iori: riflessioni in chiave organizzativa https://rpd.unibo.it/article/viewFile/7095/6821 https://iris.unimore.it/retrieve/handle/11380/1156372/187510/Scholé%202017%20Barbieri.pdf

ACCORDO TRA: COOPERATIVA SOCIOCULTURALE E CGIL FUNZIONE PUBBLICA PUGLIA

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