Possono i moderni videogiochi sostituire il tradizionale modo di giocare?

 

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Il processo di cambiamento radicale che si è venuto a creare in seguito alla digitalizzazione delle immagini, dei suoni e degli ambienti ha determinato un nuovo modo di interazione tra uomo e macchina che permette, non solo di avere un nuovo scambio comunicativo, ma anche di trasformarne i contenuti. Se prendiamo un qualsiasi videogioco infatti, ci rendiamo conto che possiamo immergerci in una realtà virtuale, non fisica che ci proietta in un determinato ambiente irreale in cui poter scegliere le diverse opzioni che ci vengono offerte

In un gioco di macchine ad esempio, possiamo scegliere la pista più pericolosa, la macchina più veloce, il colore che più ci piace. Possiamo cioè “manipolare” la realtà virtuale in ogni modo, sempre e comunque.

Un interrogativo molto importante, dal punto di vista pedagogico, nasce nel momento in cui brand specializzati nel settore della prima infanzia, hanno recentemente lanciato sul mercato dei tablet dedicati ai bambini. Si tratta di veri e propri dispositivi basati su sistema Android che garantiscono un percorso di gioco evolutivo e adattabile alle diverse capacità cognitive dei bambini. I genitori inoltre, attraverso un sistema parental control, hanno la possibilità di controllare l’accesso ai giochi, possono scaricare le App dall’apposito market e adattarle secondo le esigenze, i tempi e le modalità di apprendimento dei propri figli.

Stiamo forse parlando di una rivoluzione epocale che vuole sostituire i consueti, classici e semplicissimi giochi tradizionali e, di conseguenza, il modo attraverso il quale il bambino conosce e interiorizza la realtà?

La riflessione pedagogica che inevitabilmente si determina è di fondamentale importanza, poiché mette in discussione importanti teorie che considerano il corpo e la psiche come un’unità sistemica,«nella quale l’autonomia funzionale di ciascuna delle due dimensioni è garantita proprio dalla relazione reciproca che lega l’una all’altra» [Frabbroni, et al., 2003]. In questo contesto bisogna dare significato al termine giocare, in particolare alla sua funzione esplorativa considerata come necessaria alla costruzione dell’intelligenza senso-motoria, la quale si struttura attraverso il contatto fisico con l’ambiente. Nei primissimi anni di vita infatti, il bambino crea le proprie strutture mentali in un continuo processo di adattamento ed interazione con l’ambiente. È in questo modo che costruisce il proprio io, differenziandolo da tutto ciò che non è sé. Di conseguenza è necessario improntare il gioco ad un’oggettualità concreta e pratica che si contrappone completamente a quella virtuale ed illusoria. È necessario formare un bambino che «pondera le proprie azioni e le differisce, si concede tempo per pensare, integra le aspettative degli altri, anticipa le conseguenze dei propri atti nel lungo periodo e, in sostanza, disegna un progetto educativo» [Philippe e Liesenborghs, 2008].

Il progetto educativo a cui ci si riferisce riguarda la dimensione legata al gioco, inteso come strumento di attivazione dell’intelligenza. Già a partire dalla fine dell’Ottocento, proprio in ambito pedagogico, si viene ad affermare un concetto nuovo di gioco. Illustri pedagogisti come Friedrich Froebel, le sorelle Agazzi, Maria Montessori, J. Dewey hanno dimostrato che il gioco può essere considerato la prima dimensione attraverso la quale il bambino getta le basi dell’apprendimento. Attraverso il gioco il bambino impara a conoscere le cose, i fenomeni, e soprattutto definisce se stesso e le sue proprie capacità personali in relazione al mondo.

Maria Montessori spiega bene questo concetto attraverso la teoria della mente assorbente. Secondo la Montessori il bambino acquisisce le conoscenze attraverso la vita psichica poiché la mente, nei primissimi anni di vita, è una mente assorbente che, come una spugna, lascia passare attraverso i suoi pori la realtà, trattenendo le impressioni e le sensazioni, trasformandole inconsapevolmente in strutture mentali attraverso una potenzialità creatrice e un processo attivo. Alla nascita non vi è nulla di precostituito, il bambino é libero di esplorare l’ambiente, di manipolarlo attraverso le mani. È la stessa Montessori ad affermare che la mano è l’organo dell’intelligenza, guida lo sviluppo e organizza la mente. Questo processo evolutivo, attraverso il quale si costruiscono e si accumulano le conoscenze, è ontologicamente inscritto nella natura del bambino. Nel momento in cui si interviene a sostituire l’ambiente in cui si esplicano queste energie vitali e la manipolazione non è più reale e fisica, si determina un’interferenza sulla naturale linea di crescita. Il confine sottile che deve essere marcato e che l’educatore si pone come obiettivo, riguarda proprio la possibilità che, nell’uso dei tablet e, in generale, in tutti i giochi che comprendono un computer, si vanno ad integrare, attraverso la componente interattiva, la percezione e l’azione proprio come avviene nel gioco fisico e reale. In questo modo “manipoliamo la realtà” immersi un luogo virtuale, modificandola. Software educativi come maestri bravi ed efficienti, presentano simulazioni dei vari ambienti, offrono una molteplicità di scelte, controllano la loro compatibilità e intervengono a correggere gli errori.

Dal punto di vista pedagogico, queste tipologie di azioni compiute “virtualmente” si riferiscono essenzialmente a due aspetti fondamentali del gioco: la manipolazione e la psicomotricità. Queste due dimensioni appartengono al gioco, a quello fisico, a quello cioè legato all’uso delle costruzioni, delle bambole, delle matite colorate, delle macchinine e di tutti quei giochi che si svolgono all’aria aperta . Attraverso la manipolazione il bambino viene a contatto con la realtà esterna e la interiorizza instaurando relazioni significative con gli oggetti e soprattutto con gli adulti. Nel contesto interpersonale, attraverso l’esplorazione e l’adattamento della realtà al proprio mondo interiore, il bambino sviluppa prerequisiti fondamentali, specifici per l’apprendimento delle competenze di lettura, di scrittura e di calcolo. I prerequisiti sono il risultato dell’intreccio significativo dell’esperienza ludica nella dimensione fisica, poiché solo nel movimento si sviluppano le dinamiche che preludono alla nascita dell’intelligenza.

Possiamo dunque sostituire il tradizionale modo di giocare dei bambini?

Attualmente non vi sono studi scientifici approfonditi che possano dimostrare le conseguenze positive o negative di questa rivoluzione “copernicana”. Possiamo però affermare che, alcuni esperti del Dipartimento di Pediatria del Boston medical Center, hanno suggerito chiaramente di limitare l’uso dei tablet e dei videogiochi nei bambini nella prima infanzia, confermando il carattere scientifico della Pedagogia stessa. Nel corso degli ultimi decenni, importanti pedagogisti hanno dimostrato l’importanza fondamentale di recuperare il contatto diretto non solo con i giochi classici, quelli che utilizzavano anche i nostri genitori, ma soprattutto il contesto sociale e affettivo che questi giochi classici implicano.

Angela Pellino

Info

 

 

 

Bibliografia

Antinucci F., Computer per un figlio, Giocare, apprendere, creare, Editori Laterza, Bari, 2001

Cera R., Pedagogia del gioco e dell’apprendimento, Riflessioni teoriche sulla dimensione educativa del gioco, Franco Angeli, Milano, 2009

Frabboni, F., Pinto Minerva, F., Introduzione alla pedagogia generale, Edizioni Laterza,Roma-Napoli, 2003

Meirieu P., e Liesenborghs J., Infanzia, Educazione e nuovi media, Edizioni Erickon, Gardolo, 2008

Montessori M., La mente del bambino, The Montessori-Pierson Estates, 1952

Scocchera A., (a cura di), Montessori Maria, Il metodo del bambino e la formazione dell’uomo, Scritti e documenti inediti e rari, Edizioni Opera Nazionale Montessori, Roma 2002

Sitografia

www.chicco.it

www.robedamamme.it

http://www.salute24.ilsole24ore.com/artlicles/1732-tablet-e-bambini-sviluppo-a-rischio?refresh_ce

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