Come si crea un mostro spaventoso? (parte 2)

 

Abbiamo visto, in questo articolo precedentemente pubblicato, come buona parte della paura generata da una creatura mostruosa sia dovuta ad aspetti che ricordano gli antichi predatori, come la somiglianza fisica e il modo di muoversi. Nonostante questo, i più affezionati all’horror tra i nostri lettori avranno pensato subito ad alcune icone di questo genere, che di queste caratteristiche sembrano essere completamente prive: basti pensare agli alieni Grigi, mingherlini e molto somiglianti all’uomo, agli zombie, che sono caratterizzati (di solito) da movimenti lenti e strascicati, o ancora all’infinita serie dei serial killer alla quale questo genere ci ha abituati, che sono nell’aspetto e nelle movenze completamente umani.

Ci accorgiamo quindi che manca ancora qualcosa per definire in maniera completa gli elementi che caratterizzano un buon mostro. Per completare il quadro del “mostro perfetto” dobbiamo rivolgerci a Hank Davis e Andrea Javor, i due ricercatori che ad oggi sono stati in grado di identificare con maggiore precisione le qualità che stiamo cercando.

Gli studiosi hanno individuato 3 qualità che si ritrovano in tutti i personaggi  dell’horror:

  1. Il fattore “predatore”: è ciò di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente: una mostro fa più paura tanto più somiglia agli antichi predatori dell’uomo, sia nelle movenze che nell’aspetto. Questa categoria si applica anche alla superiorità fisica, e dunque è più probabile che qualcosa che appare molto più forte di noi faccia paura.
  2. Il fattore contagio: si riferisce a tutte le caratteristiche più disgustose o violente presenti in un film dell’orrore. E’ sufficiente la vista del sangue, in alcuni, per causare automatica repulsione. Ogni volta che vediamo segni di grave malattia, di ferimento, o addirittura di morte, scatta automaticamente il desiderio di allontanarsene, a scopo difensivo: da una parte, segnali di questo tipo rappresentano nella nostra memoria genetica la possibilità di contrarre malattie, dall’altra quella di subire lo stesso destino.
  3. La violazione della categoria “persona”: ogniqualvolta ci troviamo davanti a qualcosa che riconosciamo come una persona, attiviamo automaticamente la sua categoria. Questo significa che, nella nostra mente, l’essere una persona è legato a certi modi di fare stereotipati, che ci permettono in un certa misura di prevedere il comportamento di chi abbiamo davanti. Quando però qualcosa che appartiene alla categoria “persona” si comporta o appare in modo totalmente diverso da quello che la categoria ci dice (ad esempio, se un neonato si dovesse mettere a parlare come un uomo di trent’anni), allora abbiamo paura. E questo perché una sola violazione è sufficiente a rendere il comportamento di quell’individuo totalmente imprevedibile, e quindi potenzialmente molto pericoloso.

Davis e Javor hanno messo alla prova queste ipotesi nel 2004 con un ricerca. E’ stata creata una lista di 40 film di genere, i quali sono stati valutati da 182 persone di età compresa fra i 19 e i 61 anni. La valutazione veniva effettuata su 4 scale, basate sui 3 elementi precedentemente descritti (l’ultimo era suddiviso per indicare la violazione “fisica” e la violazione “comportamentale” della categoria), le quali permettevano di valutare quanto bene ognuno di questi concetti era espresso nel film.

Come previsto dai due ricercatori, i film che ottenevano punteggi più alti erano anche quelli che su IMDB, il più autorevole database di recensioni filmografiche, risultavano anche essere quelli più apprezzati.

Riccardo Calandracropped-immagine2.png

Info

Bibliografia

Davis, H., & Javor, A., (2004), “Religion, death and horror movies. Some striking evolutionary parallels” in Evolution and Cognition.

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