Il caso Cucchi: rompiamo il silenzio!

 

“Il problema non è fare la cosa giusta,
ma sapere quale sia la cosa giusta”
(Lyndon Baines Johnson)

La sera del 15 ottobre 2009 il giovane Stefano Cucchi, 31enne romano, si trovava in macchina nel parco degli Acquedotti a Roma con un amico quando a un certo punto sentì bussare al vetro della stessa: una pattuglia di carabinieri in servizio gli intimò di scendere dall’auto al fine di perquisirlo. Fu trovato in possesso di 20 grammi di hashish e di alcune pastiglie, tra cui quelle per curare le sue crisi epilettiche.
Stefano morì pochi giorni dopo, il 22 ottobre, in una stanza del reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove era stato collocato da 4 giorni.

Cosa è successo in quei giorni?

Come è potuto morire così improvvisamente in una cella dove era detenuto un ragazzo sano (pur soffrendo di epilessia) e sportivo? Secondo i legali della famiglia Cucchi, Stefano avrebbe subito gravi percosse durante la notte passata nella cella della stazione Appia ad opera di due carabinieri. La testimonianza del militare Tedesco, risalente all’11 ottobre 2018, è stata di vitale importanza ai fini dei risvolti processuali. Parafrasando le parole della sorella Ilaria, il muro dell’omertà è stato finalmente abbattuto.

La vicenda Cucchi è attualmente la più tristemente famosa tra quelle riguardanti i presunti abusi di potere attuati dalle forze dell’ordine, anche grazie alla tenacia della sopracitata Ilaria: quest’ultima non si è mai lasciata sopraffare dalla scomparsa in modo inspiegabile e atroce del fratello ma è andata imperterrita alla ricerca della verità al fine di ottenere giustizia, ha mobilitato le coscienze di tutti noi, mostrando al mondo intero la foto del cadavere con il volto tumefatto di Stefano. Ha messo così chiunque davanti all’evidenza di ciò che era accaduto.

Occorre sottolineare che sia Ilaria che i genitori non hanno mai ritenuto il fratello innocente circa le accuse di detenzione e spaccio di stupefacenti; molto probabilmente Stefano era in errore e un tribunale avrebbe dovuto accertarne le responsabilità. Tuttavia la violenza efferata nei confronti di una persona non dovrebbe mai verificarsi in una società che si ritiene civile, soprattutto in un contesto dove il cittadino deve essere tutelato, pur essendo colpevole di reati più o meno gravi.

Lo stato, pedagogicamente parlando, dovrebbe essere il garante della verità, in qualunque forma, sotto qualunque aspetto e non certamente agire in modo autoreferenziale punendo, giustiziando o peggio omettendo reati così gravi.
Dopo la morte del fratello, Ilaria ne ha subito preso le difese e ha dichiarato battaglia senza esclusione di colpi all’ingiustizia, denunciando severamente tutti coloro che hanno sbagliato sia in maniera diretta, (cagionando danni fisici a Stefano), che indiretta, (omettendo alcuni particolari o addirittura negando i fatti). La famiglia di Stefano Cucchi, infatti, non ha mai smesso di credere nel valore pedagogico della giustizia: proprio per questo non si sono arresi nemmeno quando nel 2013 il primo processo si è concluso con un pressoché nulla di fatto, in quanto tutti i condannati furono assolti.

Dopo molti anni, grazie alle dichiarazioni di un membro delle forze dell’ordine, l’appuntato Casamassima, è stato possibile riaprire il processo Cucchi bis fino a giungere alla determinante rivelazione del militare Francesco Tedesco.
Improvvisamente si era innalzato un muro di omertà. Proprio nelle ultime ore prima della risoluzione del caso, è stato dichiarato che l’arma dei carabinieri, impersonata dal generale Nistri, sembra voler punire chi ha denunciato i propri colleghi, quindi nell’ordine Casamassima, la moglie Rosato e Tedesco.
Per quale motivo vige questa omertà all’interno dell’arma, pur in presenza di accuse tanto gravi? Purtroppo non sono rari i casi di violenza perpetrati dagli agenti durante le manifestazioni oppure, come nel caso di Cucchi, la morte di un detenuto durante la custodia in carcere.
Viceversa, accanto ai casi di cronaca nera, vi sono anche esempi positivi di militari che sono morti per onorare la divisa che indossavano: ad esempio Roberto Mancini, deceduto a causa di una grave forma di leucemia, contratta in seguito all’esposizione a sostanze chimiche durante l’indagine sullo smaltimento illegale di rifiuti nella terra dei fuochi e in generale tutti quanti gli esponenti delle forze dell’ordine morti per difendere i diritti dei cittadini.

Tutti i temi sopracitati sono affrontati nella pellicola di Alessio Cremonini Sulla mia pelle, uscito ufficialmente il 12 settembre e presentato per la prima volta al festival del cinema di Venezia lo scorso 29 agosto e accolto con 7 minuti di applausi. Il film racconta in modo quasi documentaristico gli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, dall’arresto alla morte presso l’ospedale Sandro Pertini di Roma.
I fatti all’interno del film vengono esposti allo spettatore in modo nudo e crudo, colpendo direttamente nel segno: non è lo scopo della pellicola accusare o lanciare invettive a terzi, bensì lascia allo spettatore la possibilità di farsi un’idea circa l’accaduto. L’obiettivo del film è infatti quello di farci riflettere e di farci assumere la consapevolezza che ciò che è accaduto a Stefano potrebbe succedere a chiunque.
Il Cucchi nella pellicola non viene dipinto né come un santo né come un eroe; è semplicemente un ragazzo come un altro che ha sbagliato e che intende rimediare ai propri errori.

Alessandro Borghi, l’attore che impersona Stefano Cucchi, più che interpretare il personaggio, sembra quasi volergli ridare vita in quanto traspare dalla recitazione la voglia di reagire ai soprusi, fino al tragico epilogo dove prevale l’impotente rabbia.
Sarebbe bello poter pensare che è stato proprio grazie al film Sulla mia pelle che Francesco Tedesco si è convinto a parlare, ma non sarà mai possibile saperlo con certezza.

La cosa importante è riuscire a guardare questo film oltre all’intera vicenda, mai accecati dal pregiudizio, con fiducia nel prossimo, e saper comprendere che Stefano, seppur avesse sbagliato, era un essere umano come tutti noi.  
La fiducia, in senso pedagogico, è estremamente importante in quanto permette di farsi aiutare e tutelare dall’altro da noi e, nel caso delle forze dell’ordine, è indispensabile per via della loro funzione sociale particolarmente delicata: tuttavia non può e non deve essere pretesa bensì meritata.
Proprio per questo è estremamente importante che le forze armate denuncino i colleghi che abusano del loro potere a discapito del cittadino: un’istituzione così importante in un paese civile non può e non deve essere lesa da persone che non gli rendono il giusto onore.

Samantha Santacroce

Info

 

 

Bibliografia

Donati P., La famiglia, il genoma che fa vivere la società, Rubbettino, 2013.

Milani P. (2006), La pedagogia della famiglia, in Rassegna bibliografica 7 (3-4/2006) 42-64 [Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e la famiglia].

Sitografia

http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2018/10/18/ilaria-cucchi-contro-nistri-ha-fatto-uno-sproloquio-contro-i-carabinieri-che-hanno-rotto-il-muro-di-omerta_d842f981-26fb-429c-81c1-745193cfd8d8.html

https://www.ilfarosulmondo.it/braccio-violento-violenze/

https://ilmanifesto.it/il-dolore-di-stefano-cucchi-nella-prigione-dellomerta/

https://www.radiopopolare.it/2017/09/omerta-e-coperture-creano-senso-di-onnipotenza/

https://www.tpi.it/2018/10/19/stefano-cucchi-storia/

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