I laboratori didattici nella scuola dell’infanzia sono realmente importanti?

Nell’accezione comune con il termine “laboratòrio” si intende un luogo fisico – come un locale o un edificio – dotato di appositi macchinari che permettono di realizzare esperienze, preparazioni di vario tipo, ma anche studi ed esperimenti. Etimologicamente il termine trae origine dal latino “laboratorium”, che a sua volta deriva da “laborare” e vuol dire appunto lavorare. 

In tal senso può significare e rimandare a luoghi in cui si svolgono lavori artistici o mestieri artigianali. In ambito pedagogico e nella letteratura didattica per la Scuola dell’infanzia, invece, questo termine è entrato in tempi relativamente recenti, assumendo «significati molto diversi fra di loro in rapporto alle intenzioni, ai programmi, ai materiali a disposizione, alle questioni logistiche, alle dinamiche organizzative e relazionali interne» (Borghi, 2003:21).  Ma da dove arriva l’idea dei laboratori nella Scuola dell’infanzia? Perchè sono così importanti? E soprattutto quanti e quali andrebbero svolti? Proviamo a dare risposta a queste domande facendo un passo indietro.

Alle radici del laboratorio:

Questa innovazione pedagogica è il risultato di tre componenti: 1. l’eredità del pensiero dei grandi pedagogisti; 2. i mutamenti politico-sociali; 3. gli sviluppi dei pensieri scientifico e pedagogico insieme (Scurati, 1991).

  • L’eredità del pensiero dei grandi pedagogisti

Già da John Dewey (1953), si possono trovare tracce di pensiero in cui l’apprendimento non può limitarsi ad essere passivo, ma ha bisogno di essere collocato nella ricerca, nell’azione e nell’esplorazione. Infatti, nel laboratorio il discente può cercare sia le proprie ragioni sia le ragioni dei fatti del mondo, mediante un’organizzazione strutturata dell’esperienza. 

Troviamo poi la proposta della scuola di Summerhill di Alexander S. Neill, il progetto educativo comunitario di Anton S. Makarenko e Paulo Freire con la concezione dell’uomo liberato, che possono essere tutte accomunate dalla convinzione che si parte dall’azione a coniugare teoria e prassi. Dunque le esperienze di vita viste come un immenso laboratorio (Borghi, 2003).

Proseguendo incontriamo il pensiero di Rosa Agazzi (1976), che tramite il museo didattico e le “cianfrusaglie” credeva che la Scuola materna dovesse essere in contatto col mondo esterno. Per Maria Montessori, invece, nella scuola materna il bambino doveva essere il protagonista “laborioso” della sua educazione, partendo dal metodo e dai materiali; con l’intelligenza delle mani mette alla prova le sue potenzialità (Catarsi, 1994).

Infine Bruno Munari, con la strategia didattica centrata sul fare per capire e la sperimentazione attiva di materiali, strumenti e tecniche, da cui poi nacquero veri e propri laboratori. Difatti il primo laboratorio sui segni “Giocare con l’arte”, venne realizzato nel 1977 presso la Pinacoteca di Brera (ABM, 2021).

  • I mutamenti politico-sociali

Negli anni ‘70 il laboratorio si proponeva come una spinta per una “rivoluzione proletaria” in cui il bambino poteva appropriarsi degli strumenti di produzione e trasmissione della cultura. Inoltre, l’educatore Celestin Freinet aveva dato vita a svariati movimenti educativi, come il Movimento di Cooperazione Educativa (M.C.E.).

Gli anni ‘80, invece, sono stati caratterizzati dalla sperimentazione e dalla ricerca della qualità da parte della Scuola. Da qui i laboratori finalizzati allo sviluppo di abilità cognitive e programmati con procedure rigorose, hanno rappresentato un momento “alto” anche nella Scuola dell’infanzia (Borghi, 2003).

  • Gli sviluppi dei pensieri scientifico e pedagogico insieme

Dal Comportamentismo deriva la plausibilità scientifica dei laboratori, in quanto stimoli appropriati sono fondamentali per l’apprendimento, così come l’ambiente circostante privo di stimoli fuorvianti. In seguito la posizione cognitivista soppiantò le spiegazioni del comportamento come “stimolo-risposta”, poiché la mente non è ricettore passivo di dati provenienti dall’ambiente, anzi, è un elaboratore attivo che agisce anche indipendentemente dalle influenze esterne. 

Secondo Lev S. Vygotskij, invece, per lo sviluppo era necessario un ambiente ricco ed una relazione in cui il meno competente interagisce con il più competente per raggiungere la “zona di sviluppo prossimale”. Infine, anche per Jerome Bruner il laboratorio si configurava come contesto culturale, di condivisione e come luogo nel quale era previsto il tutoring (sostegno) del discente da parte dell’adulto (Borghi, 2003).

L’importanza dei laboratori didattici

L’ambiente di vita può proporsi ai bambini essenzialmente in due modalità: è immediato e diretto quando spazi, oggetti ed eventi possono essere “letti” da loro senza l’intermediazione di un adulto; è mediato ed indiretto, invece, quando spazi ed oggetti non presentano connessioni evidenti e, gli eventi e le ragioni non presentano cause e situazioni chiare, per cui è necessario il supporto dell’adulto.

I laboratori nella Scuola dell’infanzia permettono di «fare esperienza diretta con le cose, di guardare con i propri occhi, di toccare con le proprie mani, di soddisfare la propria curiosità, di cercare delle ragioni, di ricevere ed accettare spiegazioni» (Borghi, 2003:43). Tramite questa esperienza, infatti, il bambino può cogliere gli strumenti per fare ricerca, interessandosi sempre di più a soluzioni meno immediate e a ragioni nascoste. 

I laboratori sono attività che puntano a spezzare la classica trasmissione di informazioni e/o conoscenze incentrate per lo più su consegne direttive, favorendo, invece, l’esperienza immediata e diretta, individualizzata o di gruppo. 

Secondo Borghi (2003), in particolar modo consentono di:

  1. accedere a conoscenze ed esperienze come degli strumenti attivi, per assorbire conoscenze utilizzabili anche in pratica, con il fine di fornire abilità connesse all’esperienza quotidiana;
  2. innescare gli apprendimenti secondari, ovvero cogliere l’occasione per imparare ad imparare;
  3. favorire creatività ed inventiva

Rappresentano, dunque, uno strumento utile nella scuola per garantire la possibilità alle bambine e ai bambini di fare le cose e di riflettere nel mentre.  Infatti nel laboratorio si può curiosare, provare e riprovare, concentrarsi sul processo, esplorare e cercare soluzioni con estrema calma, senza il pensiero di giungere ad un risultato ad ogni costo. E’ da sottolineare anche che può assumere una dimensione ludica, donando quindi il piacere di fare. Tramite questo piacere «il bambino scopre se stesso nel progressivo divenire delle sue potenzialità» (Amadini, 2008:53). 

Ma quanti e quali laboratori?

Possono essere organizzati in tanti modi, poiché non vi è una soluzione migliore di un’altra. A volte la scelta può ricadere su un laboratorio unico con il fine di fornire un’identità alla scuola dell’infanzia (ad es. arte e “bambini artisti”); altre volte, invece, su una polivalenza di laboratori che mirano allo sviluppo di competenze, delle intelligenze multiple e dei diversi stili cognitivi. 

In generale, l’allestimento e l’utilizzo del laboratorio è connesso a tre “livelli tipo” corrispondenti anche ai livelli di complessità: il primo livello fa coincidere il laboratorio con la pertinenza fisica (spazi, arredi e materiali); il secondo riguarda il progetto ed i percorsi attivati per realizzarlo (modalità organizzative, metodologiche e di guida dell’insegnante); il terzo riguarda i linguaggi usati, tipo e grado di coinvolgimento dei bambini, le motivazioni che portano a fare determinate scelte e la coerenza con il contesto. 

Dagli Orientamenti del 1991 alle Indicazioni nazionali per il curricolo della Scuola dell’infanzia del 2012, aggiornate dai Nuovi Scenari del 2018, emerge come essa sia finalizzata allo sviluppo di autonomia, identità e competenze, oltre ad affermare i campi di esperienza, che costituiscono ambiti differenti sia del fare che dell’agire del bambino. Questi ultimi sono attualmente 5, così suddivisi: “Il sé e l’altro”, “Il corpo e il movimento”, “I discorsi e le parole”, “Immagini, suoni, colori” e “La conoscenza del mondo”. Ed è qui che i laboratori didattici entrano in gioco, poiché possono essere progettati ed organizzati per ogni campo di esperienza, per fornire prestazioni qualitativamente diverse.

Ad esempio, per il campo “Il sé e l’altro” – che non richiede necessariamente nè uno spazio fisico, nè materiali specifici – si possono indagare i sensi e come il corpo umano si modifica; si possono allevare lombrichi in un terrario scegliendo terriccio e sabbie adatte, prestando attenzione all’umidità interna per non farli emigrare; si può procurare un piccolo acquario con i pesci rossi o, ancora, un contenitore trasparente per allevare microrganismi, raccogliendo acqua mista a terriccio di stagno o fossato (Borghi, 2003:168). 

Per il campo “I discorsi e le parole” si può organizzare un laboratorio di lettura, con un angolo del libro, ovvero uno spazio specifico all’interno della sezione, dedicato ai libri, e a cui si può accedere individualmente o in piccolo gruppo in momenti programmati od occasionali; si può appendere un cartellone, ad altezza bambino, contenente le fotografie ed i nomi in stampatello di bambini e bambine, alle quali corrisponderanno delle tessere di cartoncino rigido sempre con foto e nomi, che poi saranno appese nei riquadri appositi durante l’appello mattutino (Borghi, 2003:94).  

Insomma, i laboratori si configurano come esperienza e come modalità didattica, organizzativa e metodologica per gestire le attività con i bambini. La finalità è quella di rappresentare dei contesti di benessere, entro i quali i bambini hanno l’opportunità di esprimere la loro libertà e la loro autonomia nel progettare, provando piacere per il fare e per l’apprendimento, e gli adulti, a loro volta, capaci e pronti ad accogliere il nuovo, l’inatteso, l’imprevisto possibile che ne può derivare.

Dania StravatoDania Stravato

Info

 

 

 

Bibliografia

Agazzi R., (1976), Come intendo il museo didattico, Editrice La Scuola, Brescia

Amadini M., (2008), Educare all’autonomia nell’autonomia, in Pat L. (a cura di), Educare i bambini all’autonomia tra famiglia e scuola, Ed. la Scuola, Brescia 

Associazione Bruno Munari (ABM), (2021), Fare per crescere. Laboratori Metodo Munari, n. 1 – Segni, RCS MediaGroup S.p.A., Milano

Borghi Q., (2003), Crescere con i laboratori. Manuale di didattica dei laboratori nella scuola dell’infanzia, Edizioni Junior, Parma

Borghi Q., (2005), Fare e pensare: il laboratorio didattico nella scuola dell’infanzia, Edu – Indire 

Catarsi E., (1994), L’asilo e la scuola dell’infanzia, La Nuova Italia, Firenze

De Bartolomeis F., (1965), Introduzione alla didattica della scuola attiva, La Nuova Italia, Firenze 

Dewey J., (1953), L’educazione oggi, La Nuova Italia, Firenze

Munari A., (2021), Fare per crescere – Laboratori Metodo Munari (01 Segni), RCS MediaGroup S.P.A., Milano 

Scurati C., (1991), Profili nell’educazione. Ideali e modelli pedagogici nel pensiero contemporaneo, Vita e Pensiero, Milano

Sitografia 

www.blog-snadir.it/il-valore-inclusivo-della-didattica-laboratoriale/ 

www.istruzione.it/sistema-integrato-06/orientamenti-nazionali.html 

www.orizzontescuola.it/la-scuola-dellinfanzia-e-la-scelta-interdisciplinare-in-allegato-uda-rubrica-di-prestazione-modulo-didattica-laboratoriale/ 

www.treccani.it/vocabolario/laboratorio/ 

www.zeroseiup.eu/il-fare-e-il-sapere-dei-bambini-dalle-attivita-ai-campi-di-esperienza/ 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.