Torturare è umano? 

A partire dalla Modernità, almeno in Europa, non abbiamo più avuto modo di assistere ai i supplizi e osservare gli strumenti inquietanti del Medioevo, ma la tortura non è certamente scomparsa, piuttosto è diventata più sottile e sofisticata. Come disse Foucault, si è messo in moto un processo molto lento, dove il corpo si sottrae sempre di più alla pena, ripulendo «la scena della tortura da ogni traccia di sangue, di dolore, spostando l’obbiettivo sulla punizione dell’anima» (Foucault, 1976:10). Quindi, anche se ancora oggi vengono inflitte torture fisiche, molto più spesso si ricorre alla tortura psicologica

Cosa si intende con tortura? Quali sono le conseguenze di tale pratica? 

Attualemente la tortura viene definita come una qualunque violenza o coercizione, fisica o psichica, esercitata su una persona, per estorcerle una confessione o informazioni, per umiliarla, punirla o intimidirla ed è sempre intenzionale (Cassese, 2010). Molte tecniche usate per torturare non lasciano segni fisici ma possono portare ad avere conseguenze devastanti per le vittime: disturbi del sonno, ansia, depressione, irritabilità, vergogna, umiliazione, disturbi della memoria, episodi di autolesionismo, isolamento sociale e tentativi di suicidio. Infatti gli obiettivi della tortura sono quelli di annichilire, tenere sotto controllo e in perenne soggezione una persona, distruggerne l’identità, punirla per ciò che è o per ciò che si sospetta possa essere o possa aver fatto. 

La situazione nel mondo

Nell’età contemporanea, il dibattito sulla tortura è riemerso con forza a causa del problema della sicurezza, portando in secondo piano il tema del rispetto dei diritti umani, soprattutto dopo l’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. Questo evento ha scatenato il dibattito sulla legittimità della pratica della tortura nel contesto della guerra contro il terrorismo, rimettendo in discussione i presupposti giuridici, filosofici e morali del divieto di tortura. Le posizioni che si sono discusse riguardano da una parte chi sostiene la legittimità della tortura in circostanze estreme, dall’altra chi ribadisce in modo categorico la natura assoluta del divieto di tortura. Infatti tale divieto non ammette alcuna deroga o eccezione, in quanto tutela uno dei diritti fondamentali dell’uomo (Giannelli, Paternò, 2004).

Inoltre, la tortura è un fenomeno ancora molto diffuso, non solo in paesi caratterizzati da arretratezza sociale, politica e legislativa, ma anche in paesi considerati civili. Infatti è  giusto ricordare le torture commesse in Italia, che hanno riguardato percosse e pestaggi nel corso di manifestazioni, nelle carceri, nelle caserme e nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR). In alcuni casi sono stati segnalati anche decessi al momento dell’arresto, come ad esempio quelli di Federico Aldovrandi e Stefano Cucchi (per citare i casi più celebri). Non sono da dimenticare anche gli innumerevoli respingimenti di migranti da parte dell’Italia verso la Libia, paese nel quale è fortemente presente il rischio di tortura. Infine, è indispensabile aver memoria dei fatti gravissimi avvenuti a Genova durante il G8 del 2001 (Agnoletto, Guadagnucci, 2011), poiché durante le operazioni alla scuola Diaz e all’interno del carcere di Bolzaneto, sono state inflitte torture, che scatenarono una indignazione diffusa, culminata anche in alcuni film e documentari: Black Block (2011), G8 (2008) e Diaz (2012). 

Il diritto internazionale vieta la tortura? 

La tortura è severamente vietata a livello internazionale da una serie di trattati e di norme (Cassese, 2010):

  • la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, che enuncia il divieto di tortura nell’articolo 5, proclamando che nessuno dovrà essere sottoposto a tortura o trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti
  • la CEDU, elaborata dal Consiglio d’Europa nel 1950, che sancisce il divieto di tortura nell’articolo 3 ed entrata in vigore in Italia nel 1955
  • la Convenzione contro la tortura del 1984, che costituisce uno strumento internazionale specifico in materia di tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti
  • la Convenzione Europea per la prevenzione della tortura e delle pene e trattamenti disumani e degradanti, entrata in vigore nel 1989, di cui l’Italia è parte (Cassese, 1994)

L’Italia rispetta queste norme?

L’Italia è stata spesso inadempiente rispetto agli obblighi verso il reato di tortura, infatti per anni è stata priva di uno specifico reato, con conseguenze gravi, in quanto gli atti di tortura sono stati perseguiti come reati minori, con pene non adeguatamente severe e soggette a prescrizione. Sono stati Amnesty International, Associazione Antigone, Medici contro la tortura, insieme ai Radicali, ad obiettare e combattere contro queste inadempienze. Solo nel 2017, con quasi 30 anni di ritardo, è stato introdotto nel codice penale il reato di tortura. Anche se Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, ha rilasciato alcune dichiarazioni eclatanti in merito, ritenendo la legge approvata dal Parlamento incompleta e carente sotto il profilo della prescrizione. Infatti la definizione della fattispecie è confusa e restrittiva, scritta con la preoccupazione di escludere anziché di includere in sé tutte le forme della tortura contemporanea.

Una educazione democratica è ancora possibile? 

Sottoporre i responsabili di tortura alla giustizia è un fattore concreto di dissuasione e di rassicurazione per l’opinione pubblica. Infatti la norma giuridica ha una funzione pedagogica, in quanto segnala alla società che questi atti sono inaccettabili. Lo Stato dovrebbe rappresentare una sorta di grande educatore. Allo stesso tempo, nessuno strumento internazionale e nazionale può tramutarsi in un cambiamento degli atteggiamenti, delle leggi e della pratica a meno che non sia correlato ad un cambiamento di mentalità. Allora, se la tortura rappresenta un atto disumano, è un atto commesso da un oppressore verso un oppresso. Questa disumanizzazione costituisce una violazione del diritto ed un’ingiustizia sociale.

Freire ci suggerisce che è importante prendere coscienza della condizione di oppressione (propria e altrui) e quindi considerare l’uomo in quanto tale e non vederlo come mero oggetto o strumento, per mettere in atto una vera e propria liberazione permanente. Educandoci e liberandoci insieme, trasformando la realtà. Per fare questo è necessario andare verso una educazione problematizzante, che potrebbe portare alla fine della lotta per la condizione degli oppressi, grazie all’apprendimento e al vivere sociale, per umanizzare il mondo e cambiare i paradigmi incentrati sulla violenza (Freire, 2018). Infine, se la tortura offende la dignità umana e produce sofferenza fisica e/o psicologica e costituisce un deliberato attacco all’identità e all’umanità della persona che ne è oggetto, essa rappresenta un aspetto patologico della democrazia, poiché democrazia significa rispetto della dignità della persona, mentre tortura significa umiliazione e annientamento di quella dignità. Provare indignazione di fronte ai tanti casi di tortura è ancora oggi necessario, in quanto se non lo facciamo, le nostre democrazie subiranno conseguenze devastanti.

Agata ParisiAgata Parisi

Info

 

 

 

Bibliografia 

Agnoletto V., Guadagnucci L., L’eclisse della democrazia, Milano, Feltrinelli, 2011

Cassese A., I diritti umani oggi, Roma, Laterza, 2010

Cassese A., Umano-Disumano, Roma, Laterza, 1994

Foucault M., Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1976

Freire P., La pedagogia degli oppressi, Torino, EGA, 2018

Giannelli A., Paternò M. P., Tortura di Stato, Roma, Carocci, 2004

Sitografia

https://www.amnesty.it/universalmente-proibita-universalmente-praticata-la-tortura-nel-mondo/

https://www.amnesty.it/approvazione-della-legge-sul-reato-tortura-commento-amnesty-international-italia/

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